Oggi è San Giuseppe e, come tutti i “santi”, anche l’uomo di Betlemme, se vissuto nella Roma moderna, avrebbe manifestato disagio e frustrazione dinanzi a una festa in suo onore. Alla proposta “«Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni… Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo». il figlio di Dio e del falegname rispose: «Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai»” (Luca 4:6-8).
Allo stesso modo il centurione Cornelio, prostratosi dinanzi a Pietro, si sentì dal pescatore rispondere: «Alzati: anch’io sono un uomo!» (Atti 10:26).
Né al diavolo, né a Pietro, né a Giuseppe, dunque… tanto più che la festa in onore di quest’ultimo, come per tutti i “santi”, pianta le sue radici nel paganesimo.
Protettore di orfani, poveri e ragazze nubili, la religiosità in favore del falegname Giuseppe nei paeselli siciliani si esprime anche nella preparazione del banchetto collettivo con offerta di pani votivi i quali assumono un elevato valore propiziatorio, assicurando buoni raccolti e abbondanza, anticipando il risveglio della natura. Non a caso la festa è collocata in un periodo particolare dell’anno, bussando alle porte della primavera (2 giorni dopo).
Nella sua espressività ideologica, nella pratica dei riti e nell’assetto del nostro scadenziario di marzo, la festa di San Giuseppe ha assorbito (evidenza è logicamente il fatto che gli somiglia) usi e folclore di antiche celebrazioni agricole pagane in onore della dea greca della mietitura Demetra (Cerere per Roma antica) o di Dionisio, dio della vegetazione e della fertilità.
Proprio in Sicilia San Giuseppe assume connotazioni campestri poiché durante la tirannia di Gelone (485 a.C.) si rafforzò il culto religioso alla dea Demetra, molto amata e venerata dai colonizzatori greci che si stabilizzarono nell’isola.
I festeggiamenti, per lo più legati al grano, a ridosso della primavera, quando cioè le messi erano alte, si svolgevano con canti, danze, beffe ironiche e perfino orge, eventi che si sono protratti fino a noi, ovviamente in forma diversa.
Si riporta solo un esempio, valido per tutti gli altri. Nella città di Gela, nel giorno della ricorrenza di San Giuseppe, sono allestiti degli altari al santo, ricoperti di ogni bontà proveniente dal raccolto, mentre i fedeli coperti di tuniche e vestiti con abiti “alla greca” e con ghirlande di fiori sul capo, inneggiano al “patriarca” Giuseppe e cantano, danzano, si esibiscono con gioia talvolta scandita da un pizzico d’ironia. E così via, senza dilungarci sui particolari della festa, né invocare altri esempi di altri paesi, i cui folclori di natura religiosa “cristiana”, sono intrise di riti e costumi inscindibilmente legati alla tradizione pagana del mondo greco di VI e V secolo a.C.
Ma giusto per completare almeno il quadretto di questa città, in una contrada chiamata “Bitalemi”, v’è un antico santuario di VII secolo a.C. dedicato a Demetra (reso in piccolo rispetto a quello che gli stessi abitanti realizzeranno ad Akragas qualche decennio dopo). Le fonti storiche (Diodoro Siculo) parlano di Tesmophoria, feste dedicate a Demetra da svolgersi proprio in questi spazi sacri. Da archeologo non posso rimanere insensibile nel cogliere la sottile somiglianza tra le modalità di celebrazione a Demetra in “Bitalemi” e la festa della Madonna di “Betlemme” che si svolge proprio in questo sito e si rifà, nei riti e nei costumi, ineccepibilmente a quella del mito greco.
“Primavera” Demetra, ora v’è Giuseppe. La storia si ripete, si imita da sé, poiché “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1:9). Non ho mai appoggiato la teoria di quegli studiosi che vedono nello svolgersi delle vicende politiche, socio-economiche, culturali e religiose solo degli sviluppi meramente lineari. La storia non è soltanto una linea continua unidirezionale, ma alle volte si sviluppa come una linea parabolica; essa attinge da sé, non ha un suo “per sempre”, qualcosa di veramente nuovo. Ogni stagione ha la sua fine, e ogni “primavera” nella storia dei movimenti-
monumenti, non nasce senza morire. E la storia delle credenze e delle azioni metafisiche dell’uomo, è ancora più contorta e ritorta e decrepita; sta lì a voltarsi indietro, leccandosi come fa una bestiola spossata con le sue ferite.
È una società alla deriva morale, si sa; “violentata” ormai da un cristianesimo con la “c” minuscola, dal sapore insipido, contornata dal gusto acre di altre confessioni (non cristiane) il cui terrore, più apparente che reale, si manifesta con qualche calcio e due o tre bombe. La differenza è che questi ultimi uccidono sicuramente nel corpo, ma non sempre nell’anima e in molti casi rinnegano il Dio Padre. C’è chi invece, sottile e quatto, ha distorto una realtà fondamentale per la salvezza: i precetti puri, semplici e giusti che solo il Cristo poteva lasciare. Pur non rinnegando il Padre come fanno coloro che uccidono nel terrore, i “cristiani” inneggiano invece a dei padri con la “p” minuscola, seducendo le masse e compiacendo quell’angelo di tenebre che, 2 mila anni fa, nel deserto non è riuscito a piegare il Figlio di Dio e che adesso aspira ad adottare figli per se stesso. Ci sta riuscendo!
Si potrebbe scrivere tanto sulle migliaia di azioni cultuali di uomini che si ostinano a non seguire il Signore della Bibbia, e correre dietro a quello delle tradizioni: scrivere ad incominciare dai fanatici ebrei dei tempi da Augusto a Vespasiano, per proseguire con la “chiesa” romanizzata da Costantino, e concludere (concludere?) con le tante eresie partorite dal Protestantesimo. Si potrebbe addurre prova sopra prova circa la notoria comunanza tra religiosità e paganesimo, soprattutto in Italia. Ma è oggi, più di ieri, un errore portare le due espressioni sullo stesso piatto: essendo infatti religione e paganesimo sostanze liquefatte fra loro, per cui quasi sinonimi, starebbero invece meglio dentro un calice.
Più concreto e significativo è, alla fine, dar voce alla Verità, a quella Parola di Dio che, se da un lato ci mette in guardia su ciò che sta inevitabilmente accadendo in quest’epoca di apostasia, dall’altro e per questa ragione, ci consola sull’imminente venuta del Signore Gesù.
Giuda, l’altro figlio che proprio San Giuseppe ebbe da Maria, scrisse a chiare lettere:
“Ma voi, miei cari, ricordate ciò che vi hanno predetto gli apostoli del nostro Signore, Gesù Cristo: che negli ultimi tempi ci sarebbero stati degli individui beffeggiatori … Sono costoro che provocano divisioni … gente che non possiede lo Spirito di Dio.” (Giuda 1:17-19).
L’apostolo Paolo altrove li chiama “ … amanti del piacere (e delle feste) anziché di Dio, (religiosi o pagani) aventi l’apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza. Anche da costoro allontanati! (2 Timoteo 3:4-5).
L’esclamativo rivolto da Paolo al giovane Timoteo, è un chiaro avvertimento per tutti, se tutti vogliamo preservarci integri e puri (“come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta” per 1 Pietro 1:15), davanti all’Altissimo nel giorno della Sua venuta, giorno che verrà all’improvviso poiché è scritto che Gesù si presenterà come un “ladro nella notte” (1Tessalonicesi 5:2). Io starei ben attento, in quel giorno, a non farmi trovare “con le mani sporche di marmellata”, tra feste e festini in cui danza, canto e grida rendono onore a un uomo invece che a Dio che l’ha creato.
Iddio ci chiami a vera conversione… per un primo giorno di primavera, che non avrà mai fine.
Paolo Trapani
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