Il coraggio di raccontarsi

Ci sono cose così segrete dentro di noi che non sempre ne siamo consapevoli, fanno parte della nostra intimità più segreta; del nostro cuore. “Cuore” parola dalle mille sfaccettature che abbraccia significati medico/scientifici, in quanto organo, significati psicologici, in quanto sede di sentimenti ed emozioni, e significati spirituali in quanto elemento di percezione del trascendente in noi.

Dall’Antico al Nuovo testamento la parola “cuore” è citata ripetutamente a conferma dell’importanza sul benessere totale dell’uomo. Nella Bibbia, si parla di “cuore” sin dalla genesi 6:5, «…il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo…» parole seguite da: «Il Signore si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo» (Ge, 6, 6). Nel NT, come già nell’AT, il “cuore” rappresenta l’organo più importante della vita fisica, psicologica e spirituale e Gesù esprime questa concezione con l’espressione: «Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34). Il cuore, in quanto interiorità, è direzionalità, guida e depositario di emozioni e sentimenti inespressi. In ambito psicologico, tra le tante metodologie terapeutiche mirate all’espressione del contenuto del cuore non può passare inosservata la metodologia della Dott.ssa Sonia Scarpante, che attraverso la scrittura terapeutica, apre il cuore dello scrivente (Sonia Scarpante, “Parole evolute. Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica ed. Sampognaro & Pupi, 2015). Molto spesso chiudiamo il nostro cuore, il nostro mondo a noi stessi e agli altri entrando in quel tunnel psicopatologico chiamato, dai professionisti della salute mentale, depressione, male oscuro. A volte può arrivare all’improvviso, come per incanto, a volte a seguito di un evento, apparentemente senza un preavviso ma non per questo insignificante. Demotivazione alla vita, senso di vergogna, mal-essere generale sono solo alcuni dei sintomi della chiusura del cuore. Ma non c’è niente di cui vergognarsi, probabilmente se da psicologo e psicoterapeuta posso leggere i segni della malattia in essi, come cristiano devo ritenere anche i segni di un disagio del vivere, di una impossibilità di essere artefice della propria vita ma soprattutto di una mancanza di fiducia nella vita. Del resto siano tutti uomini, per natura fragili e mortali. Ed è bene, come uomo chiedere aiuto, ricordo come io stesso, più volte preso dalle mie fragilità ho chiesto aiuto a colleghi, ho spulciato tra le diverse teorie e pratiche da me conosciute di psicoterapia. Senz’altro un sollievo, una base per potere meglio leggere il mio agire. Ricordo delle notti a leggere tra le righe di un autore a me conosciuto (Freud, Adler, Jung, Sullivan, Eric Berne, Fromm, Ronald Laing, Frankl) una risposta ai miei quesiti, professionali e personali. Ma ricordo anche, come credente, la riflessione del simbolo della croce, un piccolo crocifisso affisso nel mio studio che spesso, dopo ogni incontro con l’altro, osservavo e mi ispirava ad approfondire le parole di un uomo, Gesù, consapevole della sua morte per amore dell’uomo. Le sue parole non potevano passare inosservate ad uno psicologo e psicoterapeuta che cerca di aiutare altri a trovare il senso della propria vita, il significato ad una sofferenza e notavo che le sue parole, dal vangelo, arrivavano dritte al cuore e ripensando la storia di ogni mio paziente, emergeva sempre una risposta per tutti. Valeva la pena dare un senso e per questo nascevano libri come “Ogni vita è una vocazione, 2014, “Parole che trasformano” 2016 e Psicoterapia del cuore e beatitudini, 2018, tutti ed. Cittadella. Certo, i campi dovevano essere disgiunti il mentale lo psichico dallo spirituale. Mi richiamavo alla mente le stesse parole di Gesù: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati…» (Mc 2,17). Con queste parole Gesù considera l’aspetto scientifico della cura ma non è muto di fronte ad un altro farmaco spirituale: la fede. Vivevo di fede autentica, matura per riconoscere le miserie umane, le fragilità e affrontarle nel lasciarsi andare? Bisogna fidarsi e affidarsi. Come il paziente che si lascia andare alla mia fiducia, come il bambino con sua madre, come il partner con il suo amato. E’ il segno della fiducia e dell’affidarsi all’altro che avviene attraverso l’apertura del proprio cuore. Siamo reticenti in questo perché ancora il cuore è indurito, e un cuore indurito produce intenzioni cattive (Mc 7,21), disagi e rancore che corrodono le ossa ((Proverbi, 14:30).

Parlare con il fratello e parlarsi, scrivere all’amico e scriversi, raccontare di se all’altro e raccontarsi al Signore è il primo passo per prendersi cura di se.

Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com


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