Domenica 17 febbraio è comparso su YouTube un video – rimosso nella serata di martedì 19 febbraio – fatto con il telefonino, che mostra il pestaggio di una ragazzina di colore a opera di un branco di coetanei. La insultano e le gridano «e la negra se le busca», mentre le tirano calci e la prendono a pugni. Sull’episodio sconcertante, avvenuto sulle Mura di Grosseto, riportiamo il commento di Claudia Angeletti, insegnante di lettere in un liceo di Grosseto e membro della locale chiesa battista.
«Nessun caso di razzismo, solo una banale lite per gelosia»: questa la dichiarazione del questore di Grosseto; a due giorni di distanza dall’episodio increscioso avvenuto sulle mura di Grosseto: le botte e gli insulti di chiaro stampo razzista («negra») all’indirizzo di una ragazzina di colore da parte di una coetanea bianca in presenza di un gruppo di compagni spettatori che filmavano lo scontro per poi pubblicarlo sul Web sono diventati «una banale lite», «una ragazzata» sciocca e insensata. Sulla quale i genitori degli adolescenti vorrebbero che calasse in fretta il silenzio, tant’è che nessuno intende sporgere denuncia.
Partendo da questo epilogo la vicenda si chiarisce già in gran parte da sé: quale tipo di messaggio riceve l’adolescente aggressore da questa reazione dei genitori e delle autorità? Evidentemente, le sue azioni e le sue parole risultano minimizzate nella loro gravità, perciò se non c’è alcuna conseguenza, una benché minima punizione, non c’è colpa o, se anche c’è, si tratta di così poca cosa che non comporta la necessità di una seria assunzione di responsabilità, né di una riflessione profonda che induca a modificare il proprio comportamento.
Come insegnante di Grosseto, ho quotidianamente sotto i miei occhi gli effetti perniciosi di questo tipo di relazioni genitori/autorità (anche scolastiche) sui ragazzi e sulle ragazze: il mancato rispetto della disciplina e del regolamento scolastico raramente viene sanzionato in maniera seria, tale da suscitare negli adolescenti un qualsivoglia «timore», fosse anche soltanto quello di un basso voto di condotta; l’uso oculato anche solo di questo strumento potrebbe essere attualmente un utile deterrente, dal momento che esso entra nel calcolo della media dei voti, alla quale invece i genitori e gli studenti e le studenti tengono moltissimo. Chi, però, tra gli e le insegnanti prova a seguire una linea pedagogica più rigorosa, finisce facilmente per essere tacciato di «intransigente», con la sottintesa sfumatura negativa di persona rigida tendente all’autoritarismo.
Così è rarissimo vedere attribuire un’insufficienza (o una stretta sufficienza) in condotta, mentre abbondano i voti dall’otto in su, anche per studenti che non si preoccupano minimamente di rispettare le e gli insegnanti mentre svolgono il loro lavoro, creando mille occasioni di distrazione per le compagne e i compagni, disturbando con le loro chiacchiere, interrompendo a sproposito con domande fuori luogo, chiedendo spesso di uscire dall’aula, giocando di nascosto con il cellulare e rispondendo beffardamente se richiamati o richiamate. Per non parlare del trattamento riservato a quelli o quelle fra i loro compagni e le loro compagne che magari sono interessati a seguire e capire gli argomenti: come minimo, sono viste come persone poco interessanti (salvo quando possono far comodo per dare un suggerimento!), di massima possono subire minacce di vario genere, di media sono del tutto ignorate e emarginate, specialmente durante gli intervalli.
La cosiddetta «ricreazione», poi, si trasforma per i bulletti e le bullette in un momento adatto a ostentare la propria «braveria» in spazi più ampi, i corridoi, rivolgendo le proprie attenzioni a un pubblico più vasto, gli e le studenti di altre classi, in una gara senza regole a chi usa maggior tracotanza, approfittando del fatto che il controllo degli insegnanti è più difficoltoso. Volano parole volgari, spintoni e calci tra i ragazzi (ma anche tra alcune ragazze), «per scherzo, prof.», in questi quotidiani momenti di rumore e caos (semi)autorizzato.
La scuola in cui presto servizio è un liceo, ragion per cui l’estrazione sociale dei ragazzi e delle ragazze è di medio livello e sono piuttosto infrequenti i casi di vero e proprio disagio socio-economico. Il problema reale, infatti, è che questi e queste giovani adolescenti portano con sé, dentro (e poi in misura maggiore fuori) dalle aule scolastiche, le modalità «normali» di comunicazione che hanno assorbito durante la loro crescita, soprattutto tramite quei surrogati di «agenzie educative» di penultima e ultima generazione quali televisione, playstation, computer, telefonini, Internet.
Senza voler demonizzare questi strumenti, è incontestabile che l’assorbimento (imprinting) di un repertorio di linguaggi, immagini, storie, giochi perlopiù violenti (lungo sarebbe l’elenco dei cartoni incriminati, a esempio) provenienti da questi strumenti utilizzati in modo indiscriminato sfocia facilmente, se non inevitabilmente, nell’assunzione di modelli negativi e nell’imitazione dei loro comportamenti. Inoltre, poter disporre «senza limiti» dell’attuale sofisticato apparato tecnologico costituito dagli smart-phone dilata l’ego dei/ ragazzi e delle ragazze a dismisura. Il «tutto intorno a te» suggerito da una nota pubblicità viene perseguito da ciascuno e ciascuna, così che gli altri e le altre diventano un ostacolo per il tuo stare al centro, a meno che fungano da docili strumenti della tua autoaffermazione (pubblico). La possibilità di essere ammirati nelle proprie «imprese» su youtube o vimeo è ulteriore sollecitazione della propria ambizione. Chi si contrappone per qualsivoglia motivo ha torto in partenza e dev’essere «eliminato»: con epiteti ingiuriosi o con gesti anche pesanti.
Quanto ampie e diffuse sono le responsabilità di questa situazione, tanto dovrebbero esserlo le iniziative, che pure le scuole intraprendono, per la legalità, i diritti umani, contro la violenza e anche per insegnare a essere genitori migliori.
Claudia Angeletti
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