La statistica di Dio

Da sempre si discute sull’esistenza di Dio portando come argomentazioni ciò che è visibile all’occhio umano e ciò che non lo è.

La matematica e le altre discipline scientifiche, pur essendo logiche e razionali, possono contribuire per certi aspetti a spiegare il non visibile anziché il visibile, a dispetto di quello che pensano molti.

Un docente di una università del Nord Italia scrisse un’opera relativa alla matematica e al cristianesimo dal titolo che si ispira a una famosa opera di Salvator Dalì che rappresenta un Crocifisso su una croce tridimensionale formata da otto cubi.

Come si sposa l’immagine dei cubi tridimensionali con quella del cristianesimo?

L’anello congiungente è quello per cui non si può vedere un cubo nella sua quadridimensionalità ma quel cubo esiste e può essere rappresentato geometricamente; il matematico riesce a rappresentare e descrivere cose che non si possono vedere nel loro complesso a causa della limitazione cognitiva umana. La nostra conoscenza e percezione è locale mentre il fenomeno è globale e la sua esistenza reale non è legata alla nostra percezione.

Sembra esserci a questo punto un anello di congiunzione tra la matematica e la fede, quest’ultima definita in Ebrei 11 come “certezza di cose che si sperano e dimostrazione di cose che non si vedono”.

Come i cubi e altre figure geometriche esistono ma non si possono percepire nelle loro multi sfaccettature, così Dio esiste, la sua parola è vera e se ci credi permette che si palesino cose non visibili; tuttavia “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Gv 1, 18).

Un secondo aspetto forse sottovalutato nell’argomentare su ciò che è visibile o meno è quello che attiene alla funzione della ragione; la matematica così come la statistica e altre scienze pensano e creano, si basano cioè su un atto della ragione. Molti pensano che ci sia una contrapposizione tra ragione e fede ma in realtà Dio ci ha dotati di ragione perché questa potesse essere un supporto alla fede. Se ci pensiamo bene anche la fede è un atto della ragione, si sceglie di credere; anche quando si fa esperienza vera e profonda di Dio il credere ha sempre alla base una scelta e un atto della ragione.

D’altronde se la fede fosse un puro atto conseguenziale ad una esperienza sensoriale non potremmo parlare di libero arbitrio. Il libero arbitrio è alla base dell’amore vero e incondizionato, l’atto della ragione è perciò anch’esso alla base dell’amore.

La matematica stessa ci insegna che possiamo percepire non solo attraverso i nostri sensi ma anche attraverso la ragione anche se la percezione diretta è limitata.

Uno statistico, nell’obiettivo di voler controllare il processo produttivo, disegna un campione di individui su cui rilevare alcune caratteristiche oggetto di studio; tale campione è una sottopopolazione cioè un insieme molto più piccolo della popolazione reale che permette di inferire cioè di estendere i risultati realizzati sul campione all’intera popolazione.

Quando parliamo di campione, alcuni immaginano un piccolo gruppo di persone altri possono pensare a un gruppo più grande e il fatto che sia un sottoinsieme dà l’effetto illusorio di poterlo percepire meglio. In realtà la percezione diretta della numerosità è limitata a pochi piccoli numeri e pertanto, immaginando di associare un numero diverso a ogni individuo del campione, a poche unità.

Quindi non solo sui singoli oggetti, sui fenomeni etc..ma anche sui numeri la nostra percezione è limitata: percepiamo direttamente e globalmente poche unità ma tutte quelle unità del campione ci sono, esistono e vengono intervistate.

Quindi la nostra ragione non ci permette di percepire globalmente neanche il finito se il finito è costituito da tanti numeri cioè da tante unità e quindi se il finito tende all’infinito.

La matematica inoltre ci dice che non c’è un numero più grande di tutti e che i numeri sono infiniti e si può anche contare con numeri infiniti; da qui il famoso concetto filosofico ma anche

matematico di infinito. Il finito dell’uomo può percepire in piccola parte l’infinito matematico ma sa che esiste grazie all’atto della ragione, così lo stesso finito dell’uomo può percepire l’infinito di Dio e sa che esiste grazie a un atto di fede che sceglie in base a un atto della ragione.

In conclusione, se le materie scientifiche possono aiutare a percepire in piccola parte l’invisibile che può essere messo in essere attraverso un atto della ragione, perché non può essere lo stesso con la fede? Ragione e fede non si contrappongono ma possono aiutarsi per una percezione sempre maggiore dell’infinito e perciò di Dio.

 

Irene Rocchetti


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