Era una mattina di lavoro come altre, lo scorso 15 maggio. Mohammed, un musulmano radicale da poco assunto per guidare bulldozer in una ditta di costruzioni, e Fady, architetto cristiano per la stessa compagnia, si erano recati in cantiere per svolgere le rispettive mansioni lavorative.
All’improvviso Mohammed, alla guida del bulldozer, si è scagliato contro Fady che monitorava i lavori sul posto. Vani i tentativi di Fady di scappare e nascondersi, Mohammed lo ha schiacciato contro un muro con il veicolo, per poi investirlo ripetutamente per accertarsi che il giovane collega fosse morto.
“Odio i cristiani. L’ho ucciso perché era un cristiano”, ha poi confessato alla polizia.
Mohammed è stato messo in prigione per 4 giorni per poi essere mandato in una clinica psichiatrica per ricevere cure. L’infermità mentale è l’alibi che molti musulmani radicali in Egitto utilizzano per coprire questo tipo di crimini ed evitare la prigione.
La mancanza di una seria applicazione della legge in questo Paese e la riluttanza delle autorità locali nel difendere i cristiani li rende vulnerabili ad ogni tipo di attacco, specialmente nell’Alto Egitto. L’ostilità comunitaria e la violenza della folla, in particolare, continuano a causare difficoltà.
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