
E ora “finalmente” lo sguardo può scorrere liberamente anche in questo tratto di residua, desolata campagna veneta (ultimi brandelli di suolo non totalmente cementificato dell’hinterland vicentino) tra Montruglio e il Bisatto. Senza interferenze da parte dell’incongrua (stando ai parametri dominanti) siepe che per dimensioni e composizione evocava quelle del bocage bretone. Dove alcune maestose querce (presumibilmente secolari, ognuna un ecosistema a sé) convivevano con ontani e platani. Lasciando il desolante spettacolo di una fascia di terreno nudo e dilavato dove, tra le cataste dei rami e dei tronchi, spiccano i moncherini delle querce mozzate.
Scorrere liberamente, dicevo, tra capannoni, villette, allevamenti intensivi (polli) e campi di soia. Terreni da cui è scomparsa quasi ogni traccia di biodiversità (sia per la cementificazione-impermeabilizzazione che per i trattamenti chimici). Con sullo sfondo le cave di Albettone a completare il quadro desolante.
Ancora piante abbattute, decapitate, rase al suolo. Non si capisce se in coincidenza con il restauro di un’abitazione o per aver voluto estendere alla pianura l’opera di “energica pulitura” degli scaranti (che però sfociano a valle a circa due chilometri di debita distanza). Optando per l’abbattimento invece della semplice potatura.
Eppure anche recentemente (con un bando pubblico del febbraio 2025) si dichiarava di voler “promuovere la gestione attiva delle “infrastrutture verdi”, ovvero formazioni lineari arboreo-arbustive quali fasce tampone e siepi con connessa fascia erbacea di rispetto”.
Tanto che sorge un dubbio (visti alcuni precedenti come qualche anno fa sul tratto iniziale del Tesina, prima disboscato e cementificato e poi rinaturalizzato con contributi europei). Non è che poi verrà finanziato con denaro pubblico il ripristino ambientale?
Gianni Sartori
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