Gesù non ha condannato i ricchi, ma li ha avvertiti dei pericoli che li minacciano, in particolare l’orgoglio e la cupidigia. Alla luce dell’insegnamento di Gesù, la ricchezza è da considerarsi una prova, poiché è difficile essere ricchi e conservare uno spirito di servizio e un atteggiamento che non tenda all’arroganza.
Ricchezza e povertà
Iniziamo con il negativo della ricchezza, la povertà. La beatitudine dice: “Beati i poveri” e la descrizione della chiesa nel libro degli Atti degli apostoli dice a proposito dei primi cristiani: “Non c’era nessun bisognoso tra di loro” (Atti 4,34).
Non è difficile articolare queste due proposizioni, la chiesa è invitata a combattere la miseria e, per questo, Cristo ci chiama a coltivare un cuore compassionevole, un cuore di povero. Troviamo la stessa tensione con la ricchezza poiché l’antibeatitudine dice: “Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione” (Luca 6,24) e d’altra parte sappiamo che nella cerchia di Gesù c’erano dei ricchi che lo sostenevano finanziariamente (Luca 8,3) e che un uomo come Giuseppe d’Arimatea è definito “un uomo ricco […] il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù” (Matteo 27,57).
Detto ciò, nell’insegnamento di Gesù prevale comunque di gran lunga la diffidenza nei confronti dei ricchi, in particolare nell’incontro con il giovane ricco (Marco 10,17-31) e nelle parabole del ricco stolto (Luca 12,13-21) e del ricco e del povero Lazzaro (Luca 16,19-31). Se Gesù è severo verso i ricchi non è perché la ricchezza sia un male, ma perché in genere è accompagnata da due malattie spirituali che sono l’orgoglio e la cupidigia.
Isolamento e cupidigia
Se una delle prime virtù evangeliche è l’umiltà, è molto difficile essere ricchi e umili perché la ricchezza tende a rinchiuderci nella sua logica. Gesù non ha detto che era impossibile, ma che era difficile per un ricco vivere secondo il regno di Dio (Marco 10,23), infatti le sue ricchezze gli urlano nelle orecchie: “Confida in noi!” La ricchezza ci isola secondo la parabola della finestra: quando guardiamo attraverso un vetro, vediamo il nostro prossimo che è sulla strada, ma se lo ricopriamo con uno strato d’argento diventa uno specchio e non vediamo più altro che noi stessi.
L’altra malattia della ricchezza è la cupidigia che ci fa credere che la felicità consista nell’avere e nel consumare sempre di più. La prima epistola a Timoteo descrive la deriva della cupidigia: “Quelli che vogliono arricchire cadono vittime di tentazioni, di inganni e di molti desideri insensati e funesti, che affondano gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti l’amore del denaro è radice di ogni specie di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori” (1 Timoteo 6,9-10). La cupidigia è una corsa senza fine perché si troverà sempre di meglio rispetto a ciò che si ha, ci sarà sempre il viaggio che non abbiamo fatto, il vino che non abbiamo bevuto, l’auto che non abbiamo guidato, le attività di svago che non abbiamo praticato. Come recita l’adagio, la differenza tra la sete d’acqua e la sete di denaro è che quando abbiamo bevuto un bicchiere d’acqua non abbiamo più sete.
Lotta contro la seduzione
l ricco si valuta in base all’ammontare della sua fortuna, secondo il Vangelo deve essere considerato in modo commisurato alla sua lotta contro le due malattie che lo minacciano. Contro l’orgoglio la Scrittura non chiede né di diventare poveri né di restare ricchi, ma di coltivare la generosità, come recita questo consiglio della prima epistola a Timoteo: “Ai ricchi in questo mondo ordina di non essere d’animo orgoglioso […] di far del bene, d’arricchirsi di opere buone, di essere generosi nel donare, pronti a dare” (1 Timoteo 6,17-18). Questo versetto raccomanda ai ricchi di diventare ancora più ricchi, ma di generosità. L’antidoto della cupidigia è coltivare la semplicità e l’appagamento. Per sentirsi appagati occorre cambiare software in quanto allo sguardo rivolto al proprio denaro: non si tratta di accumulare una fortuna, ma di arrivare a essere felici con quello che si ha, secondo il principio di semplicità sviluppato nel libro dei Proverbi: “Non darmi né povertà né ricchezze, cibami del pane che mi è necessario, perché io, una volta sazio, non ti rinneghi […] oppure, diventato povero, non rubi” (Proverbi 30,8-9). Un modo d’essere ricchi è contare tutte le cose che si possiedono e che il denaro non può comprare. Oggi è un dono, per questo lo chiamiamo presente.
Quando il Vangelo chiede di vendere tutti i propri beni e di darli ai poveri, non può essere un comandamento, ma un appello singolare, un dono spirituale. A volte non c’è nulla di più orgoglioso di voler diventare poveri per dimostrare la propria fede. Davanti a un povero che si nutriva di pane secco, un saggio dichiarò: “Ma mangia della carne, perché se non mangi che pane arriverai a pensare che i poveri possano mangiare pietre”. Ciò che Dio domanda al ricco non è di diventare povero, ma di essere riconoscente e generoso, benevolo e misericordioso.
La fede, la crescita e il consumo
Nel libro della Genesi un brano racconta la lotta di Giacobbe contro un avversario misterioso al guado di Peniel. Un commento identifica l’avversario con l’angelo di Esaù che Giacobbe ritroverà l’indomani. Nel libro della Genesi Esaù è chiamato anche Edom (Genesi 25,30), che la tradizione rabbinica considera il progenitore di Roma e del mondo occidentale. La lotta oppone allora Giacobbe/Israele e un avversario che rappresenta la nostra società fondata sulla crescita e sul consumo. Il commento fa notare che i due fratelli avevano numerose greggi e che il contrasto aveva a che fare con il loro rapporto con la ricchezza (Genesi 33,9-11). Il nostro mondo occidentale fa dipendere il valore di un essere umano dalla sua fortuna, dai suoi diplomi, dalle sue relazioni, dalle sue vacanze… il modello da raggiungere è l’essere giovani, ricchi, famosi e in buona salute. È contro questo modo di intendere che Giacobbe si è ribellato e ha lottato per tutta una notte.
Questo commento è interessante perché sottolinea che la posizione rispetto ai valori del nostro mondo non rientra nell’ordine di una scelta ma di una lotta. Io non scelgo di fondare la mia vita su altri valori che non siano la fortuna, la performance e la celebrità, io lotto per permettere alle mie convinzioni di prevalere sulle mie tentazioni. Senza lotta sono condannato a conformarmi progressivamente ai valori della società che mi circonda. La sfida della spiritualità.
(Antoine Nouis da Réforme)
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