La riconciliazione è una realtà interiore, psicologica e spirituale attuabile con se stessi e con l’altro. Ci riconciliamo con le nostre istanze psicologiche, con i nostri sentimenti, con il passato ma ci riconciliamo con il fratello, con il partner ecc…, in entrambi i casi l’aspetto centrale della riconciliazione è la maturità. Maturo è colui che sa sottomettere alla ragione impulsi ed emozioni al servizio del bene comune e non del piacere egoistico. Maturo è chi gioisce nel vedere che colui che si ami, si evolva, cresca e diventi se stesso.
Non si confonda la persona che ha raggiunto la maggiore età con la persona matura. Molto spesso, soprattutto in ambito psicologico e psicoterapeutico ci si trova di fronte a persone che sebbene abbiamo un’età pari e superiore a quella della maturità, conservano in se sentimenti, emozioni e atteggiamenti tipicamente di un bambino o di un adolescente. Ad essere alterata, in queste persone, è la relazionalità sia con se stesse che con gli altri. Si è in disaccordo interno e si è disfunzionali con il prossimo. E’ allo psichiatra Harry S. Sullivan, 1953, l’avere constato e affermato il principio della relazionalità come cura per la salute mentale. Gesù lo ha anticipato di gran lunga, quando ha affermato: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato, amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv, 15, 9-17). Intendendo la relazione autentica e matura priva di rancore, invidia e gelosia. Come psicologo e psicoterapeuta non posso non considerare che eliminare da se emozioni e sentimenti negativi è necessario un lavoro interiore su se stessi, ma come credente cristiano non poso non considerare il senso della conversione per la riconciliazione: «Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» Matteo 18,2-3. Vi è un movimento, si diventa bambini per progredire in un qualcosa di più grande. Difatti, nella prima lettera di Paolo ai Corinzi, 13,11 si legge: «Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato». Paolo invita, come Gesù, a riconoscere il bambino in noi per non farlo agire incoerentemente alla nuova realtà.
Tornare bambini, significa riconciliarsi con quella genuinità di un tempo alterata da esperienze distruttive. Attenzione ai possibili tranelli, dei tanti pseudo-guaritori della psiche, che ci propinano idee preconcette sul proprio bambino interiore ferito e ci stimolano ad esserne consapevoli. Non basta essere consapevole delle proprie esperienze distruttive, la sola consapevolezza non elimina la nevrosi, ma è necessario com-prendere, compenetrare nel motivo del torto subito per poi riconciliarsi, il che significa arrivare a perdonare. Personalmente, più volte ho constato che molti clienti in psicoterapia rivivono molta sofferenza nel capire il proprio mondo bambino privato di affetto, di stima e costellato di svalutazione. E in questo capire si alimenta la rabbia e il risentimento verso le figure del passato. E’ lecito chiedersi come superare questa consapevolezza. Con il potere della riconciliazione dai sentimenti antichi di rancore e odio? Riconciliazione è un riunire con chi si è rotto un patto, un’alleanza.
Quando ci si rende conto che la persona che sono oggi, ancora arrabbiata, delusa, frustrata nei sogni sono realmente io, non basta dare attenzione solo all’io, perché ne faremmo un idolo, ma anche e soprattutto a chi ha provocato la disattenzione o frustrazione. Affinché si possa affermare il principio biblico della crescita «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola» (Mc 10,7). «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne». Genesi 2,24.
Che questo passo non generi perplessità dopo tutto abbandono, separazione e lasciare nel significato biblico non è la stessa terminologia utilizzata nel senso comune. Significa fare discernimento, emanciparsi, vuol dire diventare se stessi per scelta e non per reazione o per rabbia. Vuol dire prendere la propria strada, assumere i propri pensieri e i propri modi di fare. Significa trasformarsi, formarsi di nuovo (P. Riccardi, “parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo” ed. Cittadella 2016).
Ci sono due modi per uscire dalla casa del passato: sbattendo la parta, salutando con rabbia e risentimento o chiudendo la parta e salutando con comprensione. Chi sbatte la porta è alimentato dal risentimento e non godrà della usa serenità. Ci ricorda L’Apostolo Paolo nella lettera agli efesini «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra » (Ef 6,1-3)
Riconciliarsi è pensare alle esperienze e alle persone delle nostre relazioni in modo diverso, abbandonare ogni diritto al rancore e al vittimismo, significa vedere anche con gli occhi dell’altro e non solo con gli occhi del proprio Io e, quando è possibile, riaprire un dialogo. Sono tappe a volte difficili, ma obbligate per chi desidera diventare maturo e autonomo e non, invece continuare a fare il bambino offeso, deluso, con la pretesa che qualcosa ci è dovuto.
Pasquale Riccardi
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