Ciascuna sezione del salmo 119 è una breve riflessione sul rapporto del credente con i precetti contenuti nella parola del Signore. La Scrittura non è semplicemente un insieme di regole esterne o norme raccolte in un prontuario, bensì una strada nella quale possiamo camminare e orientare la nostra vita. Se non si comprende che ci troviamo dinanzi ad un vero e proprio percorso, ciascun statuto potrebbe assumere la parvenza di qualcosa di vago e di conseguenza insignificante. Le indicazioni bibliche non sono rigide regole da osservare in maniera meccanica o da ritenere a livello mnemonico mentre il nostro essere propende ad altro, bensì sono quella via maestra che conduce a Dio. Consideriamo alcuna di queste pietre preziose.

Tale nostra conoscenza e desiderio deve però essere supportato dall’esperienza personale: “Guidami per il sentiero dei tuoi comandamenti, poiché in esso trovo la mia gioia” (v. 35). Non si può camminare con Dio e non provare gioia nel farlo! La tristezza è dettata dall’assenza dell’Autore di queste parole. Ricordiamo quel che accadde ai due discepoli sulla via di Emmaus, i quali dopo aver visto e udito tanto non avevano compreso, erano arrivati alle loro conclusioni fermandosi a quanto accaduto al Calvario. Alcuni si fermano alla prima difficoltà, non avendo gioia, e lasciano tutto ciò che rappresenta la presenza di Dio o la stessa chiesa. Questo ci ricorda anche come sia difficile camminare da soli, o come si tenda a scegliersi dei simili con le stesse problematiche, nonostante ciò possa essere deleterio per entrambi. Prediligiamo coloro che, essendo più forti, sono capaci di tenderci una mano nel momento del bisogno.
Il nostro problema è la visione che proviene dal cuore. Gli Ebrei vedono nel cuore la parte più intima, in cui è racchiusa l’anima e lo spirito. Da esso possono provenire i maggiori dilemmi. In merito il salmista continua: “Inclina il mio cuore alle tue testimonianze e non alla cupidigia” (v. 36). In un altro salmo si invoca: “O Dio, crea in me un cuore puro” (Salmi 51:10). Il cuore puro è quello ripieno del volere di Dio. Sappiamo bene che quando il camminare con Lui ci sembra complicato, è perché vorremmo seguire la nostra cupidigia, i nostri desideri, che sono contrari ai Suoi piani. Sottinteso in questi versi è l’invito a non desiderare, così come ci impone l’ultimo dei Comandamenti. Come non ricordare Acab, re al quale non mancava nulla, ma che si volle impossessare per pura bramosia della vigna di Nabot. Tutto iniziò quando affacciandosi dal suo balcone la vide, proprio come fu per Davide con Betsabea. Anche noi ci guardiamo spesso attorno, lasciano che qualcosa (o qualcuno) entri nella sfera dei nostri desideri, divenendo finanche concupiscenza del cuore e trasgressione dei comandamenti del Signore.
Ecco perché il salmista chiedeva al Signore di piegare il suo cuore ai Suoi precetti: ben conosceva la natura dell’essere umano. Affinché i nostri cuori possano essere ben saldi nei precetti di Dio è necessario quel attenersi a che segue: “Distogli gli occhi miei dal contemplare la vanità e fammi vivere nelle tue vie” (v. 37). Inoltre, “Sii fedele alla parola data al tuo servo, perché si abbia timor di te” (v. 38). Questa promessa si realizza ogni qualvolta ci troviamo nella debolezza. Infatti, in quei momenti rammemoriamo le promesse ricevute dal Signore. Lo Spirito le tira fuori affinché tornino a prevalere in noi. L’autore chiede ancora: “Allontana da me il disprezzo che mi avvilisce” (v. 39). Tale disprezzo è quello di uscire dalle vie del Signore divenendo scandalo, oltre a divenire il bersaglio dell’accusatore che ricorderà in ogni modo il fallimento. Non dobbiamo mai dimenticare che Dio non accusa, ma soccorre. Ed infine invita a ricordare: “perché i tuoi giudizi sono buoni” (v. 39b). I Suoi precetti sono buoni, ci aiutano a vivere meglio, più a lungo e d’accordo con gli altri perché il Suo piano è per il bene; ecco perché “io desidero i tuoi precetti” (v. 40a). La parola del Signore possa essere ardentemente desiderata dal nostro essere, possa divenire fuoco ardente nelle nostra ossa, tanto da renderci incapaci di restare zitti. “Ravvivami nella tua giustizia” (v. 40b).
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Foto di Kaliyoda, www.freeimages.com
Elpidio Pezzella | Elpidiopezzella.org
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