Vi è un fenomeno considerevolmente presente nella realtà italiana con dati allarmanti: una donna è uccisa ogni 72 ore e nei soli primi dieci mesi del 2018 sono state 106 le vittime di femminicidio in Italia. Numeri freddi e impietosi, dietro i quali ci sono storie vere di madri, mogli, sorelle, amiche: vite abusate, umiliate, spezzate da una violenza che non ammette giustificazione. Nonostante oggi la società abbia sviluppato una maggiore sensibilità per tali fenomeni, nonostante sul si mobilitino associazioni femminili e campagne di sensibilizzazione, volte a contrastare e a prevenire ogni forma di violenza di genere, nella nostra nazione persiste ancora una tale forma di abuso. I dati sono ancora troppo elevati, e sembra essere dinanzi ad un fenomeno inarrestabile.
Volendo provare a darne una spiegazione si nota come alcune tradizioni culturali di un certo tipo siano ancora fortemente radicate nel pensiero collettivo di alcune zone della nostra penisola. Esse pongono la donna in una posizione di totale sottomissione al “capo-famiglia”, che in ordine di tempo sarà prima il padre e poi il marito. Purtroppo queste sono consuetudini che hanno avuto origine in tempi medievali e che ancora oggi hanno la meglio non solo in Italia ma anche in alcune parti del mondo. Da un’attenta analisi però si può notare che la causa scatenante non scaturisce da un unico motivo, difatti ha contributo ad un suo inasprirsi anche il mutamento che ha subito negli ultimi decenni l’identità femminile. La maggiore emancipazione e la libertà che la donna oggi possiede, può essere vissuta da alcuni uomini come una minaccia, poiché essi sono ancora legati ad una concezione che nega alla donna la possibilità e la capacità di indipendenza ed autodeterminazione; per loro ella deve restare alla dipendenza fisica e psicologica dell’uomo.
Anche la politica subisce l’inadeguatezza della società a stare al passo con l’emancipazione femminile, rispondendo così tardivamente e in maniera inadeguata alle tante denunce formulate contro questa peculiare forma di sopruso. Lo Stato, dal suo canto, dovrebbe invece dedicare molto più tempo e molte più risorse; non bastano gli attuali centri anti-violenza, ma è necessario comprendere che l’impegno per prevenire questo grave fenomeno è un investimento e non una spesa. Sul tema sono intervenuti anche psicologi, i quali in maniera uniforme, tendono a definire la violenza come un qualcosa che nasce da un sentimento di fragilità considerata inaccettabile; è il tentativo di controllare la depressione, derivata da sentimenti di umiliazione inaccettabili. Anna Costanza Baldry, psicologa ed esperta in criminologia, da sempre impegnata nella battaglia antiviolenza, ha affermato che “c’è la volontà di poter controllare, fin nei minimi dettagli, la vita di un’altra persona. Di punirla, per essersi sottratta a tale controllo”. E allora che fare? Ad un problema così complesso è necessario dare risposte capaci di mettere in campo strategie e interventi di diversa natura. Ben vengano, pertanto, gli interventi legislativi, come la normativa anti-stalking, e soprattutto la c.d. legge sul femminicidio (2013), che ha inasprito le pene nonché le misure cautelari potenziando l’assistenza e la protezione delle vittime.
Se spostiamo l’attenzione sulla Parola di Dio, invece, leggiamo che la donna è “il vaso più debole” (1 Pietro 3:7), tale “debolezza” non denota una sua inferiorità rispetto all’uomo; la bibbia stessa non propone affatto una tale tesi. La donna, per sua connotazione, non ha la stessa capacità di un uomo a controllare le proprie emozioni; spesso tende a farsi vincere dalle proprie sensazioni piuttosto che provare a mantenere un pensiero razionale e logico. L’apostolo Paolo si rivolge ai mariti, invitandoli ad essere premurosi con le loro mogli, mostrando amore, cortesia e riguardo (Efesini 5:25 e ss.); invita anche le mogli ad essere sottomesse ai propri mariti (5:22). Quest’ultimo verso spesso è frainteso in senso sfavorevole, mentre invece “sottomissione” non vuol dire mai “inferiorità”. Le donne spesso sanno eccellere più degli uomini in devozione, nella comprensione, nella diligenza e nella sopportazione. Dinanzi a Dio oltretutto non conta tale distinzione, difatti ella condivide con l’uomo il dono della vita eterna. L’apostolo è molto chiaro quando afferma che il marito rappresenta per la moglie ciò che Cristo rappresenta per la chiesa. Come anche Cristo è capo della chiesa, allo stesso modo il marito è capo, nonché custode della moglie. Come tale egli la ama e la guida; come custode, egli provvede alle sue necessità, la protegge e si prende cura di lei.
Se l’essere umano sottomettesse al Signore il proprio agire, nessuna violenza sussisterebbe, ma regnerebbe l’amore. Fin quando ciò non accadrà l’amore che proveremo sarà fallace, comporterà gelosia e potrà scaturire anche in forme estreme di violenza. Ma se ci fermiamo un attimo, e consideriamo l’ipotesi di lasciare entrare Dio nella nostra vita, potremo vedere le circostanze cambiate, perché “non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio” (Zaccaria 4:6) le persone cambiano. Lo Stato e la società potranno provare ad intervenire ma non potranno mettere fine alla violenza. Dalla nostra prospettiva, una sincera fede in Dio può davvero favorire un cambiamento “radicale”. A tutti noi Egli ha donato una grande arma in grado di affrontare qualsiasi battaglia, la preghiera, attraverso la quale siamo chiamati in prima persona a soccorrere chi è ancora vittima di queste situazioni. Ma siamo anche chiamati a liberare e quindi ad aiutare a venire fuori da ogni forma di legame e schiavitù. Agli uomini che leggono rivolgiamo un’affettuosa esortazione biblica: “E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la chiesa” (Efesini 5:25). In maniera smisurata, perché “chi ha trovato una moglie ha trovato un bene, ha ottenuto il favore del Signore” (Proverbi 18:22).
Carla Castaldo | elpidiopezzella.org
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