LA SINDROME DELL’APPARIRE DEI “CRISTIANI SOCIAL”

“Continuiamo a bere del pessimo vino preoccupati che i calici siano di cristallo”.

Questa frase di Mirco Stefanon fa riflettere su quanto l’apparire, in questo momento storico, abbia una valenza di gran lunga maggiore rispetto all’essere.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’immagine sia la prima cosa che si usa nell’interagire con l’altro. E’ logico che, vivendo di relazioni, l’apparenza diventi una manifestazione necessaria.

Da sempre l’uomo, in quanto essere sociale, ha avuto bisogno di essere accettato, amato, approvato, riconosciuto e stimato.

Ma ora non staremo esagerando a proiettarci con così tanta insistenza in un mondo virtuale per il quale l’apparenza è un aspetto fondamentale? Un mondo composto nella maggior parte dei casi da persone che nemmeno conosciamo?

In Italia, oltre 39 milioni di utenti utilizzano internet e 31 milioni sono attivi sui social network, ovvero il 52% del totale. Di questi, 28 milioni accedono ai propri social preferiti tramite mobile (cellulare) (47% dell’intera popolazione), evidenziando come questi strumenti siano sempre più parte integrante della quotidianità.

A mettere in luce questi dati è Digital in 2017, il report annuale che ha lo scopo di indagare sul modo in cui le persone accedono a internet, e su come cambiano, anno dopo anno, i loro comportamenti online.

Con l’avvento dei social network, la possibilità di realizzare maschere destinate a mettere in mostra o modificare la nostra identità ci viene servita su un piatto d’argento, al punto da arrivare a presentare sempre più frequentemente un’immagine di noi che è solo illusione e distorsione rispetto alla realtà.

In questo, la nostra società, basata sull’immagine, sicuramente non aiuta, proponendo una cultura fatta di icone generate dal mondo della moda, dello sport, dello spettacolo e della televisione che si mostrano sempre al meglio nelle loro ville lussuose o a bordo di yacht costosissimi, mentre sfoggiano facce sempre sorridenti come se per loro la vita fosse ogni giorno una festa. Ma la loro vita è davvero così perfetta come sembra?

“A cosa stai pensando?” ci chiede Facebook. E noi rispondiamo sempre, anche se, dietro a quelle immagini e parole accuratamente scelte, spesso la realtà è molto diversa. Dovremmo un po’ tutti riflettere e non prendere troppo sul serio tutto quello che vediamo sui social.

Apparire, in questo caso sui social network, assomiglia un po’ al bisogno di gloria che ciascuno ha. L’essere umano è narcisista e i social rappresentano attualmente il palcoscenico ideale sul quale il narcisista può mettersi in mostra dando il meglio di sé. Molti sostengono che apparire sia, probabilmente, in fondo l’emblema di uno status derivante da molta solitudine, profonda insicurezza e mancanza di fiducia e autostima verso se stessi. Dal momento che manca la certezza del proprio valore, inizia la ricerca di notorietà e di consenso.

Potrei spiegarlo con questo esempio: dopo aver fatto sesso, agli uomini viene la stanchezza, ma non perché arriva la stanchezza gli uomini rinunciano al sesso, perché, nonostante la stanchezza, il sesso provoca grande piacere.

Per l’essere umano, l’apparire è come un grande orgasmo! E le conseguenze che l’apparire porta, in quel momento vengono minimizzate, perché è molto più importante il suo narcisismo.

“Io devo apparire più di quello che sono!” sembra il motto del social-dipendente, ma nell’apparire più di quello che si è realmente, si soffoca quello che si è per davvero. Ecco perché, queste persone, prima o poi, entrano in una crisi profonda.

La parola chiave diventa “condividere”. Condividere particolari della propria vita privata, anche se banali e ripetitivi, per cercare costanti attenzioni e conferme, sulla propria bellezza e simpatia, ma soprattutto sulla possibilità di piacere e di sentirsi desiderati, invidiati, approvati e riconosciuti. Si fa di tutto per stare sempre sul palco, sulla scena, per essere e rimanere protagonisti a tutti i costi.

Maggiori sono le approvazioni, i ‘mi piace’, i commenti che riceve, tanto più l’individuo si sentirà gratificato, adulato, adorato e desiderato.
Apparendo come o meglio di altri forse gli esseri umani si sentono meno soli, o credendosi migliori si illudono e si costruiscono una maschera in cui credono veramente.

Entrando per un attimo nell’ambito spirituale (di cui questo sito web si occupa) è palese notare come questa situazione e condizione si sia estesa anche alla vita di molti credenti cristiani. L’evidenza che traspare è che i credenti siano diventati troppo social e tendano a desiderare così tanto di diventare più appariscenti e importanti sulla piattaforma mediatica, ignorando quella che è la loro vera essenza. Sembra che siano così intenti ad apparire agli altri, con la scusa di insegnare agli altri le cose di Dio, ignorando il così grande, smisurato bisogno di umiltà di cui, per primi, loro stessi necessitano.

Perché accade ciò? La risposta è semplice: i credenti si sono fatti prendere troppo la mano dai social e si sono dati troppo – come lo chiamo io – al “ministero Facebook”. Il ‘cristiano social’ si è fatto prendere così tanto da questa voglia di apparire e di essere riconosciuto dagli uomini, che “appare” il suo modo di usare il Cristianesimo ‘mediatico’ non con il vero intento di portare il messaggio di salvezza ai perduti, ma come un mezzo per innalzare se stesso, la propria persona, la propria reputazione, la propria immagine.

Foto e video che ritraggono i credenti in momenti in cui evangelizzano, pregano per qualcuno o mentre sono in chiesa ad offrire il culto a Dio, vengono ormai sbandierati pubblicamente come neanche fossero merce da bancone.

L’ ‘io cristiano-mediatico’ è salito alle stelle, l’ego è uscito così incredibilmente fuori. Si è invertito tutto! Non sono più i credenti che girano intorno a Gesù, è Gesù che ora gira intorno a loro. Non è più Dio il loro centro, sono diventati loro il centro di loro stessi.

Certamente bisogna predicare il Vangelo, e i social sono un aiuto vantaggioso per farlo, ma il credente si è focalizzato troppo su questo, differenziando il vero cristianesimo, quello che dovrebbe realmente vivere, quello fatto di umiltà e abbassamento, con quello mediatico, il cui fine è apparire e ricevere i “mi piace”.

Per dirla con l’evangelista Vittorio Fiorese, riguardo all’uso e abuso dei social network da parte dei credenti, egli dice: “Qualcuno ha detto: “Non c’è bisogno di andare in giro per predicare il Vangelo… adesso abbiamo internet, Facebook e i vari social network, siamo nell’epoca della globalizzazione, possiamo comunicare il Vangelo ed evangelizzare in tempo reale con ogni persona del mondo”, ed io dico “Amen, per i nuovi media! Dio può anche usare un asino, a maggior ragione può usare un computer per diffondere il messaggio del Vangelo. Ma riconosco che è anche molto difficile riconoscere ciò che è reale da ciò che è virtuale o immaginario… E ci sono tante cose che non riusciamo più a distinguere nella loro realtà. Io so una cosa leggendo la Parola, che anticamente, nel Vecchio Testamento, l’Arca di Dio, dove c’era la presenza di Dio, quella nuvola scintillante, la Shekina che aleggiava sopra il coperchio dell’Arca, il propiziatorio, non poteva essere trasportata da un carro, da altri attrezzi mobili, da buoi, da asini, da cavalli da corsa, no! Doveva essere portata rigorosamente a spalla dai Cheatiti, una famiglia consacrata dei Leviti, che serviva il Signore giorno e notte. E questo mi fa capire che la nuvola della presenza di Dio, la Sua grazia, la Sua santità, non possiamo delegarla ad attrezzature elettroniche, purché Dio può usarle, nascondendoci dietro ad una finta apparenza di cristiani spirituali, mostrando agli altri che in realtà non siamo. Il Vangelo di Cristo deve essere incarnato nella nostra vita, la presenza di Dio deve essere portata a spalla in un mondo dove non si può più distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, il vero dal falso, e solo l’autenticità di una vita consacrata, non finta, non virtuale, ma realmente spesa e coinvolta per il Vangelo, potrà essere credibile e rendere il Vangelo efficace e penetrante”.

Quanto è vera questa affermazione!

Quello che io credo è che i ‘credenti social’ dovrebbero apparire agli altri per quello che sono realmente e non aspettarsi nessun merito per il loro servizio a Dio. Nessuno. Sia nella vita reale che in quella virtuale. Non dovrebbero fare qualcosa per essere osservati e ammirati dagli altri. Se nessuno se ne accorge, non devono restarne delusi. Se qualcuno se ne accorge, dovrebbero dare tutto il merito a Dio.

Non falsifichiamo la nostra spiritualità. Niente nausea di più Dio che un cristiano ipocrita che non è sincero. Avete mai visto i bambini al parco che urlano: “Guardami!”. Questo è accettabile perché loro sono ancora immaturi, ma questo non è accettabile nel regno di Dio. Facciamo in modo che le trombe siano in silenzio. Annulliamo la parata a nostro favore. Smettiamola con tutte queste vanità. Se ci viene fatta lode, spostiamo subito l’attenzione educatamente prima che anche noi ci vantiamo e ci stimiamo più di quello che siamo. Evitiamo il desiderio di essere notati. Risvegliamo il desiderio di servire Dio per amore e non per essere osservati, approvati e lodati dagli uomini. In altre parole, cerchiamo di non essere ipocriti!

Perché, continuando ad assumere questo atteggiamento si rischia di perdere un valore prezioso, ossia la propria individualità, ciò che ci caratterizza, ciò che c’è di nostro, la propria autenticità, solo per esaltare un’immagine di sé e incrementare il consenso mediatico. Quindi, la persona non piacerà più agli altri perché è e resta se stessa, ma perché mostra le maschere che si è attaccata addosso.

Ma prima o poi, arriva sempre il momento in cui il tablet o lo smartphone scompaiono, lasciando spazio alla realtà come effettivamente è e non come appare. Niente più foto, niente più video o status e niente azioni regolate da strategie, ma semplicemente la purezza dell’essere.

Solo allora ci renderemo conto che stiamo perdendo di vista il rapporto con noi stessi e con la nostra vera essenza, e che è attraverso l’essere che esprimiamo davvero  la nostra identità, un modo di vivere personale e necessario, la nostra unicità e il nostro reale contenuto.

I ‘cristiani social’, che tendono ad apparire sulla piattaforma mediatica, dovrebbero capire che c’è dell’altro dentro di loro; c’è tanta capacità che la bugia ha coperto, che quel lato di essere che si è scelti di mostrare agli altri, così banale, così finto, così recitativo, li ha portati via l’anima.

Tutti quei cristiani che nel mondo usano i social, dovrebbero comprendere che condividere foto e video che li ritraggono mentre evangelizzano, o mentre pregano, o fanno altro, non li fa più spirituali di altri.

Quando siamo in chiesa a pregare o se siamo in giro ad evangelizzare e decidiamo di aspettare e di goderci quel momento in tutta la sua riservatezza prima di allungare la mano verso il cellulare per immortalare il momento, forse proprio allora stiamo davvero facendo un passo verso l’autenticità, la felicità non esibita.

Dio ci benedica

Alessio Sibilla | Notiziecristiane.com


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