Le bambine della scuola di Farqa Ye Bisto Yak salutano mostrando il palmo della mano scurito dall’hennè e poi nascondono il viso con il velo. Ma te ne accorgi dagli occhi che sorridono. Anche se siedono all’ultima fila, nell’ultimo banco della scuola. Perché i posti davanti sono riservati ai maschi. Le studentesse della scuola di Herat, vestite di nero, velate di bianco, attendono impazienti di entrare, trattenute da una corda posta all’ingresso per frenare il loro entusiasmo.Sono quasi 6.000 e le aule non bastano per tutte. Per questo devono suddividersi banchi e orari della giornata, quelli che rimangono liberi prima o dopo le lezioni riservate agli studenti maschi. Nella scuola del “Ponte colorato”, questa la traduzione del nome in dari, c’è anche una tenda in cui studiano donne adulte analfabete. Hanno dai 18 ai 50 anni e hanno deciso di imparare a leggere e scrivere. Sedute per terra, perché per loro non ci sono banchi, nascoste da un burqa.
Nei giorni scorsi i militari italiani del Provincial Reconstruction Team hanno donato loro quaderni e penne. Bambine e donne che hanno compreso quando l’istruzione sia l’unica strada per il cambiamento, l’unica via per la libertà, come sostiene Malala Yousafzai. Se si accorge che una bambina lascia la scuola Sina Shaidyar, la direttrice del “Ponte colorato”, va a cercare i suoi genitori per spiegare loro l’importanza dell’educazione. «Una donna senza educazione non può essere una buona madre – racconta – Le bambine spesso lasciano per povertà, perché vivono troppo lontano o perché si sposano».
Alla facoltà di giornalismo dell’Università di Herat le studentesse portano il velo ma indossano i jeans, hanno le unghie smaltate di rosso e sognano un master di specializzazione in un’Università italiana. Si dice che l’Afghanistan sia il posto peggiore dove nascere donna. Spetta alle donne stravolgere questa convinzione.
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