Aids, il contagio non si ferma. “La colpa è delle diagnosi tardive”

hiv-virusSono 3 mila le nuove infezioni scoperte ogni anno. L’allarme lanciato dalla dottoressa Paola Scognamiglio (Spallanzani): “Necessario investire nello screening fuori dagli ospedali”. Fondamentale la collaborazione con le associazioni: Mario Mieli, Lila, Caritas.

ROMA – “A causa delle diagnosi da Hiv che sono tardive in oltre il 50% dei casi e avvengono in fase di Aids conclamato nel 37%, non siamo in grado di ridurre lo zoccolo duro di 3 mila nuovi contagi scoperti ogni anno”. Paola Scognamiglio, medico specialista in malattie infettive dell’Istituto Lazzaro Spallanzani, ha lanciato l’allarme sull’emergenza contagio del virus al convegno “I giovani e l’Hiv”, che si è tenuto ieri nella Sala degli Atti Parlamentari del Senato, promosso da Osservatorio Sanità e Salute”. Scognamiglio ha sottolineato che secondo uno studio americano, “il 66% delle nuove infezioni da Hiv è causato da persone che non sanno di avere il virus” e di conseguenza non prendono alcuna precauzione.

“Una mancata diagnosi da Hiv per 11 anni – tempo che il virus impiega per portare all’Aids conclamato – fa si che la persona sieropositiva abbia tempo e modo di infettarne altre”, ha denunciato Scognamiglio. “Il ritardo della diagnosi è in rapporto con il cosiddetto “sommerso” – soggetti inconsapevoli della propria positività al virus – stimato oggi del 15-25% in Italia, come in Europa”,  ha detto il medico dello Spallanzani. La dottoressa ha sottolineato come, neanche le gravidanze oggi in Italia sono attentamente monitorate: “Oggi nel Lazio il 10% delle donne in gravidanza non sono sottoposte a test”.

“Non possiamo continuare a aspettare nella nostra stanzetta d’ospedale che chi teme d’avere il virus vada a fare il test”: Per Scognamiglio è fondamentale investire in nuove “strategie di screening”. A tal fine, la specialista ha evidenziato come negli Usa “chiunque in un contesto sanitario o ospedaliero è sottoposto al test a meno che non neghi esplicitamente il consenso”, al contrario di quanto avviene in Italia, in cui questo deve essere esplicitamente concesso.

Secondo uno studio realizzato dallo Spallanzani su circa il 60% delle diagnosi avvenute nel Lazio nel 2013, si è visto che il 5,5% delle diagnosi tardive potevano essere anticipate, se fosse stato fatto test dell’Hiv al momento in cui era stata identificata da un medico una patologia indicativa come Tbc, infezioni sessualmente trasmesse, epatiti o mononucleosi.

Data l’incidenza maggiore nelle key population, come la “gay community”, lo Spallanzani ha cominciato programmi di screening outreach (fuori dalle strutture ospedaliere) mirati, in collaborazione in collaborazione con le associazioni. A tal fine, sottolinea Scognamiglio, è stato utile l’uso del test rapido da Hiv, salivare o su polpastrello, che mostra il risultato in 30 minuti. Nel 2013 sono stati approntati dei presidi per il test in 13 sedi di associazioni come la Lila, in 6 sedi di strutture per migranti come la Caritas, e in 5 servizi per tossicodipendenti a bassa soglia. Attualmente è in corso un nuovo progetto finanziato dal Ministero della Salute, in collaborazione con le associazioni della Consulta nazionale Aids e con il coordinamento scientifico dello Spallanzani, che ha posto presidi per il test direttamente in 4 saune gay sauna, in 3 luoghi di cruising, 3 unità di strada per tossicodipendenti e 5 aree di prostituzione/cruising. (Ludovica Jona)

23 dicembre 2014 – redattoresociale.it/

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