Alitalia. L’insostenibile leggerezza di un commiato

L’Italia ha bisogno di una compagnia di bandiera? In che modo il caso Alitalia è emblematico per quanto riguarda lo smantellamento dei diritti sul lavoro? Mi pongo queste domande mentre sono sul volo 1466 da Venezia a Roma. Ultimo giorno operativo della mia compagnia preferita. Scrivo questo pezzo metà in volo e metà a terra. Fra il cielo e l’aeroporto. L’atmosfera è particolare: equipaggi si abbracciano e si salutano, si dicono «in bocca al lupo»; «evviva il lupo». In piccoli gruppi parlano di un destino che sembrava già scritto. Intorno a loro, la vita aeroportuale sembra scorrere come se nulla fosse.

Oggi termina ufficialmente l’attività di trasporto aereo civile di Alitalia, per come l’abbiamo conosciuta finora. 75 anni di onorato (e disonorato) servizio. 75 anni di storia, nella quale possiamo anche trovare una buona parte di “scuola”, nel bene e nel male. Alitalia celebrata, e poi rottamata, anche grazie a normative nazionali e comunitarie che mandano in fumo i progetti di tanti lavoratori e lavoratrici, nonché le ambizioni più o meno visionarie di tecnici ed economisti che credevano, e credono, che l’Italia meriti una “compagnia di bandiera”.

È difficile trovare una narrazione che metta insieme i temi della continuità territoriale, delle privatizzazioni selvagge, degli illeciti e degli sprechi che hanno portato a questa ennesima triste pagina della storia della Repubblica. Che di pubblico, si sa, pare abbia ormai ben poco.

Sono 446,7 i miliardi di euro derivanti dalle entrate tributarie nel 2020. Un gettito che vede, secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, il 21% dell’Irpef versato dai contribuenti italiani per la sanità, il 20% per la previdenza, l’11% per l’istruzione e l’8,9% per la difesa, l’ordine pubblico e la sicurezza. Come riporta la Commissione globalizzazione ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, “la spesa militare italiana sfiora i 25 miliardi nel 2021, +8,1% rispetto al 2020 e +15,7% rispetto al 2019”. Il sostegno ai trasporti è del 4,8%. Solo il 2,4% e il 2,2% sono dedicati, rispettivamente, alla protezione dell’ambiente e il alla cultura e allo sport.

Come può la res publica sopravvivere all’erosione continua dei suoi spazi e delle sue risorse? Da un lato aumentiamo le spese militari e dell’industria bellica, dall’altro rinunciamo al trasporto aereo italiano. Solo per fare un esempio. Le privatizzazioni e il libero mercato sono la cifra del nostro tempo.

C’è un corto circuito politico (e sociale) che vede nelle migrazioni umane “povere” una minaccia, ma non distingue la minaccia delle migrazioni finanziarie “ricche”. Gli interessi e i privilegi di chi può spostare (e sottrarre) denaro pubblico sembrano intoccabili. Nello scacchiere sociale che riguarda il vivere quotidiano, sempre più decisioni vengono prese ai piani alti, nell’ombra, o nei meandri, dove la partecipazione è limitata ai già potenti. In questa dimensione, l’esercizio dei poteri forti è sempre lo stesso. Quello dell’ipertrofia contrattuale e monetaria.

Alcune considerazioni a margine. Dal 2002 al 2019 il mercato italiano, per quanto riguarda il settore aereo, è triplicato. In un’inchiesta del 2018, Domenico Affinito e Milena Gabanelli hanno analizzato i vari tentativi di salvataggio di Alitalia. Gli autori si chiedono come si faccia a perdere 3 miliardi di euro in un mercato passato dai 50 milioni di passeggeri nel 1997 ai 143,7 milioni nel 2017, anno della fallimentare uscita di scena degli arabi di Etihad, con un calo della flotta a 118 aerei (nel 2008 ne volavano 181).

https://www.riforma.it/it/articolo/2021/10/14/alitalia-linsostenibile-leggerezza-di-un-commiato

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