Dove ci sta portando la rivoluzione antropologica? Si parla spesso – non sempre con cognizione di causa – di cambiamenti estremi e di transumanesimo: giusto non trascurare il fenomeno, tuttavia dovremmo prestare più attenzione a cambiamenti meno vistosi, che però già agiscono concretamente nel nostro vivere quotidiano. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con Francesco Borgonovo, vicedirettore del quotidiano La Verità, che su questi temi interverrà sabato 25 febbraio, in occasione del convegno Se questo è l’uomo, promosso da Cinabro Edizioni con la collaborazione di Pro Vita & Famiglia Onlus e della rivista Fuoco.
Francesco Borgonovo, carne sintetica, microchip impiantati nel cervello, uteri artificiali: l’umanità è pronta per questi cambiamenti, spesso imposti dall’alto?
«No, l’umanità non è pronta, si tratta evidentemente di imposizioni e forzature, oltre che di sovversioni della natura umana. Non bisogna comunque nemmeno renderle caricaturali: a volte ci si concentra su questi aspetti, poi, però, si perdono di vista altri punti altrettanto importanti. Prospettive come il microchip nel cervello si collocano molto sul lungo periodo: negli anni ’80 si immaginava sarebbe successo di lì a poco e oggi, dopo quarant’anni, non è ancora accaduto. Grazie al cielo, ci sono delle resistenze, anche se c’è anche chi il microchip nel cervello andrebbe di corsa a farselo impiantare, così come molti si mettono in fila per procurarsi l’iPhone 2. Dal momento in cui, per ora, nessuno ci sta obbligando a mangiare carne d’insetti o cose simili, sarebbe più utile, secondo me, concentrarci su altre derive, meno spettacolari ma più insidiose».
Ad esempio?
«Ad esempio, l’idea che, tramite un’impostazione iper-razionalistica, si possano risolvere tutti i problemi del mondo. Lo abbiamo già visto in questi tre anni con il covid, in cui si è riscontrato il ritorno di un certo positivismo scientifico. Quando si tirano fuori spauracchi come quello del microchip nel cervello, siamo di fronte a forme caricaturali, come quelle di segno opposto del tipo: “Se non ci vacciniamo, moriremo tutti…”. Entrambe sono discussioni che ci distraggono da altri temi: uno di questi è il cambiamento culturale a cui abbiamo assistito durante il Covid, una sorta di rinnovata fede scientista. Penso anche alla diffusione di questo culto ecologista della Grande Madre, che – pur non imponendoci di mangiare gli insetti – ci impone una serie di scelte radicali su auto, case, economia e comportamenti individuali che magari sono più realistiche e più pericolose».
Un tema che sfugge a molti: l’antropologia rivoluzionaria avanza perché l’antropologia “tradizionale” non ha argomenti molto forti: non sarebbe auspicabile avanzare un’alternativa costruttiva ai cambiamenti in atto?
«Secondo me una cultura forte c’è, quindi il problema non è quello. Il punto è che per far fronte a una rivoluzione antropologica, una cultura forte richiede anche degli investimenti a livello personale oltre che politico. È molto facile dire che sei a favore di un ritorno alla società tradizionale e poi non metti in pratica le tue idee. Il rischio di affidarsi troppo alla politica è che poi alcune idee vengano spettacolarizzate, senza essere frutto di una disciplina individuale. Non è che manchino le idee, manca chi le mette in pratica seriamente. Chiunque fa politica deve anche dare un esempio e ciò è difficile. Ci sono tutta una serie di opportunità della modernità che la rivoluzione antropologica suggerisce e che fanno comodo a tanti».
Il metaverso: che uomo esce dalla realtà virtuale portata all’estremo?
«Non ne esce un uomo, ne esce un’altra cosa, dopodiché, volendo fare una scelta radicale, basta rifiutarlo. Basterebbe suggerire ai più giovani un maggiore contatto con la realtà, ma ovviamente la cosa è parecchio complicata. Dopodiché io sono convinto che un eventuale passaggio a un’era di irrealtà totale è ancora lontana, almeno qui da noi, fortunatamente».
Dov’è, invece, che questo processo è più avanti?
«Sicuramente negli Stati Uniti: tutta una serie di idee che assorbiamo arrivano da lì. Assorbiamo l’idea e la sua politica. E delle volte ci muoviamo come gli americani, nel proporre queste idee sia da sinistra che da destra».
Qual è, quindi, la novità più inquietante che sta arrivando dall’America?
«In generale, secondo me, il modo di affrontare le questioni. La cosa più sgradevole è che si sta americanizzando il nostro sistema politico, con due partiti, uno democratico e uno conservatore, che su alcuni temi convergono. Rischiamo, se si prosegue in questa direzione, di avere due versioni dello stesso “piatto”. In generale, anche nel dibattito, c’è un abbrutimento e un abbassamento del livello. Il caso più grave, probabilmente, è la guerra in Ucraina».
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