Calpestare il povero

Leggere una affermazione simile crea sconcerto e repulsione. Chi osa calpestare il povero? chiunque sta leggendo potrebbe pensare che costui che calpesta il povero sia un abominio e qualcuno da emarginare completamente, che non è giusto agire in questo modo.

E, cari lettori, la considerazione è perfettamente corretta. Quello che ci manca è però guardare in faccia CHI calpesta il povero. forse, guardando meglio, riusciremo a intravedere ANCHE il nostro volto. E qua nasce il problema. Siamo pronti a giudicare e sentenziare gli errori degli altri ma poco o quasi per nulla siamo pronti a far marcia indietro sui nostri passi e ammettere i nostri sbagli. E non torniamo indietro NON perché non abbiamo il coraggio di farlo ma perché NON ci rendiamo conto di far pure noi stessi parte di chi calpesta il povero. Il verso di oggi utilizza un termine molto singolare per indicare la povertà, che propriamente significa povero, ma non tanto nel senso di privazione economica quanto di trovarsi ad uno stato inferiore rispetto a chi lo sta osservando. E qua possiamo cominciare a renderci conto che tutti noi, chi più chi meno, ha calpestato il povero. Lo facciamo quando in una discussione dove abbiamo ragione non esistiamo a gongolarci sulle nostre ragioni senza avere pietà e compassione di chi ha sbagliato. Lo facciamo quando vediamo un fratello o una sorella peccare e noi ci sentiamo al di sopra non avendo commesso quello stesso errore. Lo facciamo quando raccontiamo con orgoglio delle prodezze scolastiche dei nostri figli, o delle capacità di nostro marito o nostra moglie, o delle nostre stesse capacità non pensando che molti altri vorrebbero ma non possono. Lo facciamo quando vediamo i nostri stessi genitori sbagliare per una mentalità diversa dalla nostra e calciamo contro di essi non sopportando le loro parole. Lo facciamo sempre, comunque e dovunque. Noi calpestiamo continuamente coloro che possiamo calpestare proprio perché li abbiamo sotto di noi.

Quando invece qualcuno di trova al di sopra di noi cominciamo a patire e a cercare sostegno e appoggio ma non per cambiare, ma per potere determinare di calpestare a nostra volta chi ci calpesta parlandone male o cercando di far valere le nostre ragioni. Pretendiamo da chi è più debole di fare la sua offerta ma non facciamo la nostra. E piuttosto usiamo le nostre energie per edificare la nostra casa, la nostra famiglia. Se gli altri mangiano o non mangiano poco importa, l’importante è che io e la mia famiglia… Sapete dove termina un atteggiamento di apatia nei confronti del nostro prossimo? termina nel fatto che noi non godremo mai delle benedizioni che desideriamo. Amos chiaramente sottolinea come non abiteremo le case costruite ne mangeremo ne berremo del frutto delle vigne. Finché siamo in tempo amici cari, torniamo sui nostri passi, non cerchiamo le nostre ragioni ma cerchiamo piuttosto la ragione di Dio di salvare anime dal peccato. Finché il giudizio di Dio non si abbatte e abbiamo ancora tempo, amiamo il nostro prossimo come noi stessi. C’è una tavola nel cielo pronta, imbandita, e non mancherà ne il riparo ne il cibo.

Ci sarà il Signore ed il nome del Signore.

Gabriele Paolini

Amos 5:11 – 11 Perciò, visto che calpestate il povero ed esigete da lui tributi di frumento, voi fabbricate case di pietre squadrate, ma non le abiterete; piantate vigne deliziose, ma non ne berrete il vino.

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