Dalian, 14 anni di carcere a un pastore di una ‘chiesa domestica’

Nella stretta contro i movimenti religiosi “non ufficiali” sentenza dura per Kan Xiaoyong, un ex uomo d’affari che ha dato vita a un movimento evangelico non sottomesso al Movimento delle Tre autonomie. Intanto la Corte suprema del popolo scrive espressamente ai tribunali: “Obbedite al Partito: l’organo giudiziario è prima di tutto un organo politico”.

Milano (AsiaNews/Agenzie) – Nella stretta in corso sulle “chiese domestiche” – le comunità protestanti che non aderiscono al Movimento delle Tre autonomie, controllato dal Partito comunista cinese – si inaspriscono le pene contro i pastori delle comunità “non ufficiali”. Lo segnala la condanna a 14 anni di carcere inflitta nei giorni scorsi dal Tribunale del popolo del distretto di Ganjingzi, nella provincia di Liaoning, al pastore Kan Xiaoyong di Dalian. Insieme a lui – riferisce il sito Bitter Winter – sono stati condannati anche la moglie Wang Fengying a 4 anni di prigione, la collaboratrice Chu Xinyu a 10 anni e altri tre imputati a 3 anni di carcere.

Sono condanne pesanti che il pubblico ministero ha ottenuto facendo riferimento alla diffusione di  un presunto “insegnamento eterodosso per minare l’applicazione della legge”. La difesa degli imputati è riuscita invece a far cadere l’altra accusa di “frode”, utilizzata spesso contro le chiese domestiche prendendo a pretesto le offerte raccolte tra i fedeli per i bisogni della comunità.

Il pastore Kan è una figura piuttosto nota nel mondo protestante “non ufficiale” in Cina: originario di Wuhan, era un uomo d’affari di successo e il rampollo di una famiglia legata al Partito. Nel 2018, all’età di 60 anni, ha lasciato la carriera ha fondato a Dailan con la moglie, più giovane di lui di due anni, la Discipleship Home Network. Anche lei aveva vinto premi nazionali come insegnante modello e si era anche esibita come ballerina di danza classica.

Il 20 ottobre 2021, la loro casa di Dalian venne perquisita e entrambi furono arrestati insieme a quattro collaboratori. Al processo i loro avvocati hanno anche denunciato torture che avrebbero subito durante gli interrogatori, ma questi addebiti non sono stati nemmeno presi in considerazione dal giudice. La difesa ha annunciato che presenterà appello contro le condanne.

L’esito di questo processo è un’ulteriore conferma di quanto i tribunali nella Repubblica popolare cinese siano al servizio delle istanze del Partito. Una posizione che proprio oggi viene espressamente teorizzata da un articolo apparso sul sito ufficiale della Corte suprema del popolo, il massimo organo giudiziario della Repubblica popolare cinese. Un testo che fin dal titolo invita i tribunali ad “aderire alla leadership assoluta del Partito, prestare attenzione alla politica e tenere conto della situazione generale” nei propri verdetti. “La leadership del Partito è la garanzia più fondamentale per lo Stato di diritto socialista –  – e la più grande differenza tra noi e lo Stato di diritto dei Paesi capitalisti occidentali. L’organo giudiziario è prima di tutto un organo politico, ed essere politici è il primo requisito”.

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