Delirio referendario, ma le emergenze sono altre

img-_innerArtFb-_raz2_10Mancano ancora ben cinque mesi al referendum confermativo sulla riforma costituzionale, ma sembra quello l’orizzonte politico più ravvicinato per l’Italia. Eppure domenica prossima c’è un turno delicato di elezioni amministrative. Il “delirio referendario”, però, avvolge tutto, calamita l’attenzione collettiva e fa perdere di vista gli appuntamenti con le urne del mese di giugno (in alcune città potrebbero essere due, con un ballottaggio domenica 19), con probabili ricadute in termini di incremento dell’astensionismo.

Un italiano su quattro potrà esercitare il suo diritto di votodomenica 5 giugno in uno dei 1.343 comuni chiamati a rinnovare le proprie amministrazioni.Di questi, 149 hanno più di 15.000 abitanti e potrebbero vivere un turno di ballottaggio il 19 giugno, mentre 1.194 hanno meno di 15.000 abitanti e già lunedì 6 avranno un nuovo sindaco. Sembra quasi che Palazzo Chigi voglia scavallare l’estate e puntare fin da subito i fari della politica italiana direttamente sul quesito del “Si” o “No” al ddl Boschi. A prescindere dalle opinioni di ciascuno sul superamento del bicameralismo paritario, effetto immediato dell’eventuale vittoria dei “Si'”, va detto che l’Italia non può permettersi un’estenuante e lacerante campagna referendaria di qui ad ottobre.

Voto amministrativo a parte, il Paese ha altre emergenze, prima su tutte quella dell’immigrazione, che richiedono un governo pienamente concentrato su di esse, senza eccessive distrazioni. E poi c’è da iniziare a immaginare una manovra economica da presentare dopo l’estate e in grado di garantire rilancio dei consumi, ossigeno alle imprese e rispetto dei parametri europei. Se invece tutte le contrapposizioni tra i partiti fossero incentrate esclusivamente sul referendum, sarebbe davvero un limite per il Paese e a passare in secondo piano sarebbero le vere priorità nazionali.  Sono in molti a chiedersi se la scelta del premier di personalizzare la battaglia di ottobre si rivelerà una mossa vincente oppure se lo penalizzerà.

Il fronte variegato del “No”, che da va Berlusconi a Grillo, da Salvini a Camusso, si dichiara pronto asfrattarlo da Palazzo Chigi, proprio utilizzando il referendum. A modo loro, quindi, anche gli antirenziani strumentalizzano, radicalizzano e personalizzano la sfida di ottobre senza spiegare agli italiani le ragioni del “No”. Oltre al rischio di trasformare i prossimi cinque mesi in un tormentone del tipo “nuovo Senato si, nuovo Senato no”, c’è anche il pericolo di far prevalere l’emotività e di indurre la gente a votare in un senso o nell’altro solo per tenere in vita o per far cadere il governo in carica. Sono gli stessi sostenitori della riforma ad ammettere che poteva essere scritta in modo diverso e più equilibrato, ma, al contempo, sottolineano che è meglio una riforma imperfetta che nessuna riforma.

E sono invece i fautori del “No” a chiedersi se, in caso di sconfitta nel referendum, Renzi si dimetteràdavvero, come ha promesso. In questa ipotesi, se l’ex sindaco di Firenze,ammettendo l’insuccesso, rassegnasse le sue dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, si materializzerebbe lo spettro del fallimento di una legislatura nata per varare riforme non più rinviabili e rivelatasi incapace di assicurare quel traguardo. A quel punto diventerebbe arduo formare un altro esecutivo politico e le alternative sarebbero due: costituire un governo di unità nazionale per arrivare fino al 2018, puntando sulla gestione delle situazioni cruciali per il futuro del Paese, condivisa tra tutte le forze politiche, grillini esclusi, sul modello del governo Letta; dar vita a un governo istituzionale o “del Presidente” (guidato dal presidente del Senato, Piero Grasso?) che si occupi di proporre e far approvare una nuova legge elettorale per Palazzo Madama, per poi guidare il Paese ad elezioni anticipate nel 2017.

Se, infatti, al referendum di ottobre vincessero i “No”, il Senato resterebbe nella sua versione attuale,ma verrebbe rinnovato con il “Consultellum”, sistema di voto proporzionale nato dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il “Porcellum”. Con il “Consultellum”, stante la frammentazione attuale del quadro politico (ci sarebbero almeno tre poli, più un’infinità di terze forze e “cespugli”), l’ingovernabilità in uno dei due rami del Parlamento sarebbe garantita. E il Paese avrebbe una maggioranza chiara solo alla Camera, grazie al premio al primo partito, come prevede l’Italicum. Infine, la questione della campagna referendaria sui mezzi d’informazione.

Per ora Renzi ha avviato con grande enfasi la campagna per il “Si'”, che sembra avere un maggiorespazio sulle Tv rispetto a quella avviata dai sostenitori del “No”. La delibera Agcom sulla par condicio nei referendum verrà fatta ad agosto e il governo ha giocato d’anticipo per non essere vincolato fin da ora alla rigida ripartizione degli spazi televisivi. Una volta entrata in vigore quella delibera, diventerà più difficile per i media avvantaggiare l’una o l’altra opzione. Per questo il premier intende convincere il maggior numero di italiani prima del solleone.

di Ruben Razzante | Lanuovabq.it

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