Discernere tra il male e il bene

Ogni giorno siamo immersi in una miriadi di situazioni e scelte da fare. Spesso ci risulta difficile trovare un significato nelle situazioni o un senso per decidere per una cosa, piuttosto che per l’altra. La vita è cariche di esperienze di cui non sempre riusciamo a trovare il bandolo della matassa. Si ha bisogno di discernimento. Vale a dire spulciare, pulire, sintetizzare un evento per dargli un valore. Ecco che il discernimento è caratteristica solo della persona dotata di coscienza perché non è istintuale o intuizione. Molto spesso ci capita di fare delle scelte a partire dalle sensazioni intuitivo, molto spesso a partire dall’istinto. Frasi emblematiche: 2mi sono comportato per istinto”, ho avuto intuizione perciò l’ho fatto”. In realtà ad un occhi attento, ad una valutazione profonda psicologica emerge quasi una deresponsabilizzazione delle proprie azioni. Eppure, già all’inizio del racconto biblico emergono i primi avvertimenti all’irresponsabilità delle proprie azioni: «Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gn 4, 9).

Caino si domanda quindi se è responsabile di Abele per non assumersi la responsabilità delle sue azioni. Cerca giustificazioni, cerca di difendersi. Quante volte nel confronto con le persone ci difendiamo, ci giustifichiamo. In realtà in molti casi la saggezza ci invita a fare silenzio interiore per comprendere ed assumersi le proprie responsabilità. Senza responsabilità non possiamo discernere ciò che è giusto e/o sbagliato. Con il discernere non facciamo altro che affidare un valore ed un significato alle cose.

Quando le cose, le relazioni, le persone per noi non assumono valore è come se ci mancasse sempre qualcosa; siamo incompleti. È la percezione dell’incompletezza che ci spinge a cercare, diventando la motivazione del nostro agire. Ed è qui che deve subentrare il processo di discernimento, perché si rischia di cercare nel posto sbagliato. Tutti si ricordano dell’ubriaco, che perso la chiave la cerca sotto il lampione. Il poliziotto gli chiede dove ha peso la chiave e l’ubriaco gli risponde: «là», indicando tutt’altro posto, archè il poliziotto gli domanda: «e perché la cerchi qu?»; gli risponde l’ubriaco: «perché qui c’è la luce». La metafora è che cerchiamo nel posto sbagliato. Cerchiamo la felicità nel sesso, nelle cose materiali, negli oggetti di valore, nel successo, nella visibilità di un social, nell’orgoglio o nell’essere ammirati. Cerchiamo senza discernimento. Ma come psicologo e psicoterapeuta non posso non annotare come mancano parametri di riferimento per potere discernere. Nel vangelo di Giovanni fin dall’inizio, Gesù ci rimanda a questa mancanza, quando chiede ai discepoli del Battista: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Cosa vi manca, sembra dire. Ma allo stesso momento è l’invito, a fare luce dentro di se per poter discernere il male dal bene.

Siamo persone che cercano, e affinché troviamo dobbiamo cercare con discernimento nel posto giusto seguendo la luce che illumina all’interno e non quella dell’ubriaco che illumina all’esterno: «Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Giovanni 9,5.

Pasquale Riccardi

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