DUE PAROLE SULL’EUTANASIA

PREMESSA
Sin dal giorno in cui ho dato la mia vita al Signore, ho gettato via ogni ricordo del sapore di quel frutto che il nostro progenitore Adamo mi tramandò dopo averlo mangiato nell’Eden.
Per questo motivo, non avendo alcun termine di paragone, non giudico più “cos’è bene e cos’è male” secondo il mio parere ma lascio che sia Dio a illuminarmi.
Per quanto mi riguarda, ogni giudizio degli uomini che non si rispecchia nella Parola è falso.
Molti dicono che bisogna rispettare il pensiero degli altri ma, per quanto sopra espresso, questo detto non trova riscontro nella Parola.
Essa infatti ci fa capire che si devono amare e rispettare le persone mentre i loro pensieri si possono condividere o meno.
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Il termine eutanasia deriva dal greco euthanasía, – êu = ‘bene’ e thánatos = ‘morte’, quindi “buona morte”.
Fu il filosofo inglese Francis Bacon che, nel saggio Progresso della conoscenza (Of the Proficience and Advancement of Learning, 1605), introdusse nelle lingue moderne occidentali il termine “eutanasia”.
Non vi era però, nell’idea di Bacon, il concetto esplicito di dare la morte.
Al termine “eutanasia” Bacon attribuiva solo il significato etimologico di “buona morte” (morte non dolorosa).
Per il filosofo, infatti, lo scopo del medico doveva essere quello di far sì che la morte (comunque sopraggiunta in modo “naturale”) fosse non dolorosa.
Fu solo a partire dal XIX secolo che il termine iniziò ad indicare un intervento medico tendente a porre fine alle sofferenze di una persona malata.
In tale periodo emerse il concetto di “uccisione per pietà” come pratica “non riprovevole” in linea di principio.
La questione della correttezza morale della somministrazione della morte è un tema controverso fin dagli albori della medicina.
Nel Giuramento di Ippocrate (circa 420 a.C.) si legge:
“Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”.
Le definizioni del termine (delle quali tralascio le descrizioni) si differenziano in molteplici forme:
Attiva (diretta / indiretta); Passiva;
Volontaria;
Non volontaria;
Involontaria;
Suicidio assistito;
Le numerose definizioni del termine dovrebbero farci riflettere!
Infatti, se (in merito all’eutanasia) ai comportamenti umani si dovesse assegnare uno status deontologico secondo il modello stabilito da Dio queste diversificazioni del termine sarebbero inutili, visto che il Signore ha comandato in modo chiaro e semplice di “Non uccidere”.
Questo VI comandamento, non vale solo verso gli altri ma anche verso se stessi.
Il termine “omicidio” deriva dal latino homicidium, formato da homo e da cidium, ossia da “uomo” e da – “cidio” (dal latino – cidium, da caedĕre cioè “tagliare, uccidere”), quindi “uccidere un uomo”, anche se quest’ultimo è se stesso.
Il suicidio, uccisione di se stesso è, quindi, un omicidio.
Come ho detto prima, il pensiero degli uomini, per quanto dotti essi siano, per ogni cristiano non ha e non potrà mai avere alcun valore se non è conforme alla Parola di Dio. Se, però, diamo oggi uno sguardo al panorama cristiano formato oggi da tantissime “etichette” religiose (chiese, comunità, sette, ecc.) che si autodefiniscono “cristiane”, vediamo, purtroppo, che così non è poiché vengono accettate in molte di esse dottrine e filosofie contrarie alla Parola.
Oggi, l’uomo sta cercando ripetutamente di costruire ancora una “migdàl Bavèl” (torre di Babele).
Sembra, infatti, di rivivere il tempo in cui Dio, per la superbia degli uomini, ha confuso le loro lingue.
Dappertutto la confusione regna sovrana, la sana morale biblica è stata accantonata in molte comunità e/o chiese “autodefinentesi cristiane”.
Qualche chiesa che prima era nettamente schierata contro l’eutanasia oggi pian, piano le “apre le porte”!
Ma … le organizzazioni umane possono aprire o chiudere le loro porte, il fatto ha poca importanza, la porta dei cieli verrà aperta a solo a “chi avrà perseverato fino alla fine” nella fede in Cristo Gesù osservando la Sua Parola.
Se si meditasse, anziché leggere, la Bibbia, quante cose potremmo imparare!
Giobbe, forse non soffriva atroci tormenti fisici e spirituali, sin da arrivare a dire:
«Perisca il giorno ch’io nacqui e la notte che disse: “E’ concepito un maschio!”
Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Iddio dall’alto, né splenda sovr’esso raggio di luce!
Se lo riprendano le tenebre e l’ombra di morte, resti sovr’esso una fitta nuvola, le eclissi lo riempian di paura!
Quella notte diventi preda d’un buio cupo, non abbia la gioia di contar tra i giorni dell’anno, non entri nel novero de’ mesi!
Quella notte sia notte sterile, e non vi s’oda grido di gioia.
La maledicano quei che maledicono i giorni e sono esperti nell’evocare il drago.
Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, aspetti la luce e la luce non venga, e non miri le palpebre dell’alba, poiché non chiuse la porta del seno che mi portava, e non celò l’affanno agli occhi miei.
Perché non morii nel seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dalle sue viscere?
Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare? » (Giobbe 3:3-12)?
Non soffriva il Profeta Geremia quando disse:
«Maledetto sia il giorno ch’io nacqui! Il giorno che mia madre mi partorì non sia benedetto!
Maledetto sia l’uomo che portò a mio padre la notizia: “T’è nato un maschio”, e lo colmò di gioia!
Sia quell’uomo come le città che l’Eterno ha distrutte senza pentirsene! Oda egli delle grida il mattino, e clamori di guerra sul mezzodì; poich’egli non m’ha fatto morire fin dal seno materno. Così mia madre sarebbe stata la mia tomba, e la sua gravidanza, senza fine.
Perché son io uscito dal seno materno per vedere tormento e dolore, e per finire i miei giorni nella vergogna? » (Geremia 20:14-18)?
E non soffriva Cristo durante la Sua passione, quando durante l’agonia il sudore gli cadeva per terra come grosse gocce di sangue?
Agonia (da agone) significa combattimento e quella del Signore nel Getsemani fu particolarmente straziante perché fu “agonia spirituale” come sanno solo i pochi che ne hanno assaggiato una parte!
Gesù, nella Sua agonia fa prevalere lo Spirito sulla carne, non si ribella, non cerca il dolore ma lo accetta, non chiede al Padre una “dolce morte” (un’eutanasia) ma affronta quella più atroce, quella della croce con il carico dei nostri peccati.
È alla scuola del Calvario che dovremmo imparare da Gesù!
Oggi nella sofferenza l’uomo preferisce arrendersi anziché combattere.
Per quanto lunga possa essere la nostra sofferenza sulla terra, sparisce nel confronto con la durata di una vita che è eterna.
Dio ci benedica.
ANTONIO STRIGARI

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