La Shoah e le Chiese protestanti

KZ Auschwitz, EinfahrtAnche nelle Chiese protestanti, l’impatto della Shoah ha avviato un pluridecennale processo di ripensamento dei rapporti tra cristiani e Israele, approdato al riconoscimento della perdurante elezione di Israele e alla denuncia del tradizionale antigiudaismo cristiano. Vorrei mostrare le tappe salienti di questo processo riferendomi alle Chiese evangeliche in Germania.

La prima presa di posizione sul nazismo e sulla guerra, nell’ottobre del 1945, non contiene ancora un’esplicita menzione dello sterminio degli ebrei, ma parla soltanto della «infinita sofferenza che, tramite nostro, è stata portata su molti popoli e Paesi». La dichiarazione su La questione ebraica del 1948 parla sì «di quello che abbiamo colpevolmente inflitto agli ebrei», ma nella sezione teologica del documento ritornano luoghi comuni dell’antigiudaismo teologico, come ad esempio l’idea che dopo Cristo l’elezione è stata trasferita alla Chiesa. Già nel 1950 (Dichiarazione del Sinodo di Berlino Weissensee) la riflessione sul coinvolgimento dei protestanti nella Shoah assume contorni più precisi: «Dichiariamo che con l’omissione e il silenzio… siamo stati correi nel crimine commesso nei confronti degli ebrei da parte di uomini del nostro popolo».

Nel 1961, non ancora con l’autorevolezza di un Sinodo, ma nel quadro del grande raduno biennale dei protestanti di Germania, il Kirchentag, la riflessione sulla Shoah fa un ulteriore passo avanti: si comincia a parlare dell’antigiudaismo cristiano come una delle «cause principali» della persecuzione antiebraica, si rigetta l’idea che Dio abbia respinto il suo popolo di Israele, e si afferma che «ebrei e cristiani vivono insieme della fedeltà di Dio». L’anno 1978, a quarant’anni dalla «Notte dei cristalli», vede un salto di qualità: l’anniversario del 9 novembre è l’occasione per diversi appelli alle comunità evangeliche, che non solo enfatizzano il dovere della memoria, ma evidenziano il nesso tra antigiudaismo e antisemitismo. La Notte dei cristalli «sarebbe impensabile senza secoli di pregiudizi e provvedimenti contro gli ebrei e di ignoranza della storia e del presente dell’ebraismo» (Chiesa evangelica unita della Bundesrepublik e di Berlino; altre chiese si espressero in modo simile). Il Consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd) ricorda esplicitamente che «anche la Chiesa evangelica rimase sostanzialmente silenziosa». La dichiarazione del Sinodo della Chiesa della Renania del 1980 dal titolo Conversione e rinnovamento, per molti versi una pietra miliare della riflessione protestante su ebrei e cristiani, parla di «correità e colpa dei cristiani nell’Olocausto, nella diffamazione, persecuzione e uccisione degli ebrei nel Terzo Reich».

È ormai chiaro che il ricordo della Shoah non pone soltanto il problema della catastrofe morale di quei cristiani che di fronte alla Shoah hanno assentito o taciuto, ma impone la necessità di smascherare l’antigiudaismo nella tradizione cristiana. Il ricordo della Shoah diventa sempre di più un monito all’autocritica e un impegno a lottare contro il sempre risorgente pregiudizio antiebraico. Non è dunque un caso che l’impegno delle Chiese evangeliche tedesche su questi temi si intensifichi negli anni ’90. Non basta deplorare la morte delle vittime, ma è necessario chiedersi «quale falsa dottrina su Dio noi trasmettiamo e quale falso comportamento adottiamo nei confronti degli altri» (Sinodo della Renania, 1988). La memoria cristiana della Shoah deve perciò comprendere due momenti inscindibili: la lotta contro l’oblio, la minimizzazione o addirittura la negazione di ciò che è stato, ma anche la rottura con la visione antigiudaica che ha dominato la teologia cristiana. Dopo la Shoah, il discorso cristiano su Israele non può più essere quello di prima. Il «mai più» dei cristiani implica rotture con il passato e vigilanza perché l’antigiudaismo non riaffiori.

Daniele Garrone – Decano della Facoltà valdese di Teologia

Tratto da: http://www.stpauls.it/

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