I bambini che non arrivano vivi a Lampedusa

Roma (NEV), 23 novembre 2023 – Pubblichiamo di seguito la testimonianza dell’operatrice Francesca Saccomandi, raccolta dal Molo Favaloro, martedì scorso, 21 novembre, verso le 19, dove, insieme alle volontarie del programma migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Mediterranean Hope, hanno accolto altre 570 persone in quella stessa serata.

Lunedì sera a Lampedusa sono “Approdate 45 persone in cui ci sono 8 persone. Tra queste Yahe, una giovane donna della Guinea di una ventina d’anni, che mi ha raccontato di aver perso in mare il figlio, Bintu, di un anno e otto mesi, e suo marito. La barca sulla quale si trovavano si sarebbe rovesciata, lei ha provato a trattenere il proprio bambino, Bintu, ma mi ha detto di essere stata punta dalle meduse e tra il dolore e le lesioni non ce l’ha fatta. Poco prima del naufragio, vedendo da lontano le coste e l’isola all’orizzonte, gridavano e cantavano Boza Boza free, che è il grido di sollievo e di vittoria per avere attraversato il mare ed essere sopravvissute”.

Oltre a questa storia, c’è purtroppo un’altra piccola vittima delle politiche migratorie.

“Un’altra bimba di due anni è arrivata sul molo Favarolo in condizioni evidentemente disperate, i sanitari hanno tentato inutilmente di rianimarla ma non ce l’hanno fatta. Adesso è in una bara chiusa al cimitero di Lampedusa”.

Sull’isola gli approdi sono continuati, così come purtroppo le morti e i dispersi in mare. Ieri nell’hotspot le persone presenti erano oltre 1300.

https://www.nev.it/nev/2023/11/23/i-bambini-che-non-arrivano-vivi-a-lampedusa/

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