Il suicidio non é una via di fuga

I dati sono impietosi: dall’inizio dell’anno sono già 42 i suicidi, di cui 25 quelli registrati durante le settimane del lockdown forzato per l’emergenza Covid; 16 nel solo mese di aprile. A questi numeri vanno poi aggiunti anche quelli relativi ai tentati suicidi: 36 da inizio anno, 21 nelle sole settimane di lockdown. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ogni anno nel mondo si tolgono la vita 880.000 persone, vale a dire un suicidio circa ogni 40 secondi e un tentativo di suicidio ogni 3.

Stiamo assistendo ad una strage silenziosa che ogni anno conta mediamente quattromila morti per suicidio. Fra i Paesi Ocse, l’Italia attualmente registra uno dei più bassi livelli di mortalità per tale motivo. Risulta comunque complicato stimare statisticamente a livello internazionale il fenomeno del suicidio così come è estremamente difficile individuare i motivi che inducono a togliersi la vita. Nel nostro Paese la propensione al suicidio è maggiore tra la popolazione maschile, oltre tre volte quella femminile, e cresce all’aumentare dell’età. I livelli più alti di mortalità si rilevano al Nord del paese, territorio economicamente più ricco e, soprattutto, tra le persone con titoli di studio medio-bassi. Non solo crisi economica, ma depressione e solitudine risultano essere i fattori provocanti maggiori. Tragedia davanti alla quale non possiamo, e non dobbiamo assolutamente, ergerci a freddi giudici ed esprimere sentenze non alla nostra portata.

Se viene considerato come una scappatoia dalla gente che sconvolta ritiene possa portare un qualche grado di consolazione, la cronaca purtroppo ci dice che neanche il cristiano è immune dal suicidio e non lo sono neppure quelli con fondamenta apparentemente solide. Da credenti, siamo chiamati a prendere consapevolezza del dono inestimabile che Egli ci ha fatto con la vita. Ogni azione messa in atto per porle fine risulta quindi come un rifiuto o uno stravolgimento del superiore progetto per ciascuno. Cristo ci ha comprati a Dio mediante il sacrificio della sua vita e lo spargimento del suo sangue. Per questo l’apostolo ci ricorda: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19-20). Al fine di evitare strumentalizzazioni, desidero puntualizzare che questo articolo non fa riferimento al trattamento di fine vita, all’eutanasia, al suicidio assistito, argomenti che rimando ad altre riflessioni.

La Bibbia non offre alcuna conferma al suicidio come a una via di fuga ammessa. Chi vuole cogliere un istinto suicida nelle parole dell’apostolo Paolo ai Filippesi (1:23-24) deve fare i conti con la sua scelta di rimanere in vita: «Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma, dall’altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi». Nello specifico la Bibbia presenta, senza citare mai il termine, alcuni casi di suicidio: Abimelec (Giudici 9:54), Saul (1 Samuele 31:4), lo scudiero di Saul (1 Samuele 31:4-6), Aitofel (2 Samuele 17:23), Zimri (1 Re 16:18) e Giuda (Matteo 27:5). Seppur li pone come esempi negativi, non troviamo espressione di condanna nei riguardi di alcuno, tranne che il calare un velo pietoso su ogni storia. Altrettanto non vi è alcun verso che affermi esplicitamente che il suicidio conduca all’inferno. Anzi, quelli che giustificano e cercano di descrivere cosa accade se un tale gesto è commesso da un cristiano, citano impropriamente 1 Corinzi 3:15: «egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco».

Personalmente mi astengo dal giudicare, e lasciando il salvare al Signore (Salmi 3:8; Apocalisse 7:10), ritengo però che non sia difficile innanzitutto concordare che la vita è un dono di Dio, e poi che

  • il suicidio viola il comandamento “Non uccidere”;

  • eventuali circostanze avverse non saranno mai una ragione per uccidersi, ma piuttosto motivo per avere maggior fede in Dio;

  • solo Dio può decidere il termine della nostra vita, e il suicidio usurpa tale diritto;

  • il suicidio pone arbitrariamente termine al piano che Dio ha per la nostra vita;

  • il suicidio è un atto egoista nei confronti di quelli che ci circondano e che soffriranno a causa di questa scelta.

L’esperienza pastorale mi ribadisce che nessuno può reputarsi forte e incrollabile. Nei momenti di cedimento e di disperazione le verità sull’amore di Cristo, l’accettazione e il perdono di Dio possono finire nel dimenticatoio. La tempesta che si leva improvvisa palesa dove sono radicate le nostra fondamenta, se sulla sabbia o sulla roccia. Quando si ha la sensazione che tutto sta per crollare, ecco allora il rischio di cedere alla disperazione. Le reazioni di Giuda e Pietro al fallimento nella relazione con il Cristo sono indicative. Il rinnegatore, incrociato lo sguardo del suo Maestro, pianse amaramente, ma non cedette all’idea del fallimento. Giuda invece nel suo momento cruciale scelse l’opzione del suicidio. Mai dovremmo smettere di ricordare a noi stessi e di confessare predicando che Gesù è morto al nostro posto, sottraendoci da ogni sentenza di morte; credendo in Lui possiamo avere la vita, e averla in abbondanza.

Agli atti, non sempre inconsulti di alcuni, stanno prendendo largo tra i più giovani forme di autolesionismo che li accompagnano lentamente al suicidio come atto finale, quali folli pratiche che mettono in pericolo la vita e/o il perverso gioco “Blue Whale”, balzato recentemente alle cronache. Le singolari espressioni che lo accompagnano – “Questo mondo non è per noi” e “Siamo figli di una generazione morta” – ci chiamano ad assumere responsabilità e portare risposte in grado di frenare e invertire certe rotte nell’immediato. A questo potremmo anche aggiungere la pratica dilagante tra gli adolescenti del selfie estremo, ove spesso la simulazione proprio del suicidio termina in tragedia. Forse stiamo fallendo nell’educare alla vita, al rispetto di essa e alla sua condivisione a favore proprio di chi soffre realmente.

Credo che noi siamo chiamati a porre rimedio, o quantomeno ad offrire soluzioni e alternative ai problemi scatenanti, il più delle volte sottaciuti dalle vittime e ignorati dalla comunità. Per questo, scendendo da ogni piedistallo, e tenendo in debita considerazione che il suicidio è un evento con una forte componente di emulazione, accolgo e ripropongo le parole d’ordine dell’IASP (l’associazione internazionale per la prevenzione del suicidio): «Connettersi, comunicare e curare». Ciascuno si preoccupi di fare questo e basta, perché «in molte comunità – dicono gli esperti dell’associazione – il suicidio è avvolto nel silenzio, o viene sottaciuto. Dobbiamo parlare del suicidio come una qualsiasi altra tematica di pubblica salute, al fine di dissipare i falsi miti, i tabù, riducendo lo stigma che lo avvolge». Vorrei tanto intervenire per curare piuttosto che per consolare i familiari di un suicida. Mi rendo però conto che devo chiedermi se sono pronto a pagare il prezzo per donare sollievo, recare speranza e indicare una concreta via di uscita. Per questo ho bisogno del tuo aiuto e, soprattutto, della Sua assistenza.

Foto di Alvaro Prieto, www.freeimages.com

Elpidio Pezzella | Elpidiopezzella.org

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