In Eritrea cristiano muore per non abiurare

L’organizzazione internazionale evangelica a sostegno della Chiesa perseguitata, Porte Aperte, ha saputo della morte di un altro cristiano detenuto in Eritrea a causa della sua manifesta fede in Gesù. Belay Gebrezgi Tekabo aveva circa trent’anni ed è morto nel campo militare di Ala, situato a circa trentaquattro chilometri da Dekemhare, città del sudest del paese. Il reato che ha portato alla sua carcerazione è stato espresso in una confusa, poco chiara accusa di “pregare e leggere la Bibbia”. La storia di questo credente è toccante e al contempo incomprensibile per il trattamento cui è stato sottoposto: Belay Gebrezgi Tekabo ha subito pesanti maltrattamenti durante la sua prigionia, espressamente a causa delle sue “attività religiose”. Secondo informazioni raccolte sul campo da Porte Aperte, gli era stata diagnosticata la leucemia sei mesi prima di morire, ma gli ufficiali del carcere avevano posto Belay di fronte al bivio firmare un documento in cui ritrattava la sua fede cristiana per poi ricevere le cure mediche presso l’ospedale di Dekemhare, oppure non firmare quel documento e non ricevere cure mediche. Belay ha preferito rimanere saldo nella propria fede, pagando con la vita e puntando a qualcosa di maggiore.

Nello stesso carcere-campo militare di Ala Porte Aperte ha notizia di almeno altri quarantacinque cristiani detenuti nelle celle sotterranee in condizioni inumane: anche loro sono sistematicamente sottoposti a pesanti maltrattamenti. Il 16 marzo, inoltre, sono stati arrestati altri diciassette cristiani a Keren, una cittadina già nell’obiettivo delle irruzioni delle autorità governative: a oggi non è permesso agli arrestati ricevere visite da parte dei familiari. Continua, dunque,la campagna di arresti di cristiani
ricominciata all’inizio dell’anno.

Chi partecipò al convegno annuale di Porte Aperte del 2011 ricorderà la testimonianza di Helen Berhane, la cantante gospel cristiana evangelica eritrea che è stata prigioniera in uno di questi famigerati campi, uno di quelli dove si rinchiudono le persone in container metallici: la sua storia è raccontata nel libro “Non fermerete il mio canto” ed è simile a quella di tutti quei cristiani in Eritrea che decidono di non rinnegare Cristo.

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