In Québec potrebbe essere vietato l’ uso di simboli religiosi ai dipendenti pubblici. L’ ateismo di Stato preoccupa la Chiesa in Canada

images (3)La provincia canadese del Québec potrebbe presto non permettere ai dipendenti pubblici di indossare il velo islamico, la kippah ebraica o altri simboli religiosi evidenti. È quanto prevede infatti la nuova Carta dei valori proposta dal Parti Québecois (Pq). I promotori sostengono che la Carta contribuirà a creare una comune identità laica per i suoi otto milioni di abitanti.

Di parere contrario, invece, la Chiesa cristiana e i leader di altre confessioni, secondo i quali la Carta vìola le libertà civili di una parte del Canada che ha già vissuto anni di tensione riguardo all’accoglienza delle minoranze religiose, in particolare quelle delle comunità di immigrati.

Il divieto di indossare crocifissi, hijab, niqab, burqa, turbanti e kippah verrà applicato ad alcune categorie come gli insegnanti, i poliziotti, i funzionari pubblici, personale ospedaliero, giudici e operatori carcerari. Attualmente, è permesso l’uso con discrezione di simboli religiosi, come ad esempio piccoli crocifissi o anelli con la stella di Davide, ma è vietato indossare veli, grandi crocifissi o turbanti.

Secondo Bernard Drainville, ministro delle istituzioni democratiche del Québec, lo Stato è neutrale, quindi coloro che vi lavorano devono anche dimostrare di essere neutrali. «È per questo che il Governo del Québec — ha sottolineato — ha proposto di vietare ai dipendenti pubblici di indossare simboli religiosi vistosi durante l’orario di lavoro. Stiamo parlando di simboli molto evidenti che trasmettono un chiaro messaggio: “Io sono un credente e questa è la mia religione”».

Intanto, le rigide regole del Québec verso una società laica contrastano con l’approccio multiculturale delle altre regioni del Canada, e incoraggia le diverse comunità a mantenere salde le proprie fedi e tradizioni. Salam Elmenyawi, presidente del Consiglio musulmano di Montreal, ha dichiarato che «il Pq sta cercando di mettere la popolazione una contro l’altra avviando, allo stesso tempo, una lotta contro il Governo federale. I politici — ha aggiunto — non sono preoccupati per niente del benessere di quegli uomini e donne che potrebbe perdere il posto di lavoro o lasciare la provincia. Un gran numero di musulmani (350.000) lavora in Québec negli asili nido come insegnanti o infermieri».

La Carta dei valori desta preoccupazione anche tra la comunità ebraica. Nei giorni scorsi si è svolto un incontro presso il ministero per le Istituzioni democratiche, durante il quale un’apposita delegazione ebraica ha ribadito che non occorre cancellare i simboli religiosi per lavorare in modo imparziale per conto dello Stato. Secondo Harvey Levine, presidente dell’organizzazione ebraica B’nai Brith, «con questa Carta stanno cercando di rimuovere le libertà religiose. Stanno tentando di imporre regole sui valori religiosi».

Alcuni esperti sociologi canadesi non temono tuttavia che questo dibattito possa originare fermenti, di tipo razzista, contro gli immigrati. «In generale — afferma David Rayside, docente al dipartimento di Scienze politiche dell’università di Toronto — il sentimento nei confronti dell’immigrazione è più positivo in Québec e non esiste lì una vera e propria frangia di estrema destra». Il rischio semmai è che «gli immigrati avvertano di essere scomodi, anche quelli che non portano simboli religiosi».
In un’intervista rilasciata di recente al giornale locale «Le Soleil», il religioso Pierre-André Fournier, ha sottolineato che «negare l’esposizione dei simboli religiosi equivale a negare una parte importante del patrimonio nazionale, in nome di un “ateismo ufficiale”. Non può esserci un ateismo ufficiale più di quanto non può esserci una religione ufficiale. Anzi, un ateismo ufficiale diventa come una religione, sotto un’altra forma, che non rispetta né la nostra storia, né il nostro patrimonio». Quindi, Fournier ha ribadito che «lo Stato deve proteggere la libertà di religione, non limitarla, altrimenti, come possiamo difendere i cristiani in Egitto se poi, nel nostro Paese, abbiamo queste restrizioni?».

Da L’Osservatore Romano

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