Jesse Jackson dopo Ferguson

Jesse20JacksonPer il pastore protestante e militante per i diritti civili, la tragedia di Ferguson mostra che il governo federale americano non svolge il suo ruolo nei riguardi delle minoranze e dei più poveri.(Jesse Jackson) Da questa estate era evidente che una maggioranza di persone, a Ferguson e a Saint Louis, si aspettava che Darren Wilson, l’omicida di Michael Brown, non venisse incolpato dal gran giurì del Missouri. Era evidente che le autorità politiche e giudiziarie non si preparavano ad affrontare un processo. Si preparavano a far fronte a dei disordini.
La giuria ha emesso il verdetto: la polizia può continuare a sparare su giovani neri disarmati senza dover temere incriminazioni e Darren Wilson afferma di avere “la coscienza tranquilla”. È una tragedia nazionale, una vergogna, ma la storia non è finita.

Politica federale di ghettizzazione
Tutto ciò che accade ormai a Ferguson e altrove è conseguenza della morte di Michael Brown. Ma non soltanto. È conseguenza anche del fallimento della politica della città: armi e droga circolano liberamente, mentre spariscono impieghi e servizi, tutto sotto gli occhi di un’occupazione militare che ricorda il regime dell’apartheid in Sudafrica. Questa politica federale di ghettizzazione si applica tanto a Ferguson e a Saint Louis quanto a Los Angeles, a Seattle, ad Atlanta, a Birmingham, a Milwaukee e a molte altre grandi città degli Stati Uniti e persino del mondo.
Il problema oggi è la mancanza di un sostegno federale alla popolazione. Sono leggi sulle libertà civili che le autorità federali non fanno sufficientemente rispettare. Sono servizi di polizia e squadre di pompieri che in città come Ferguson, non sono a immagine del popolo perché sono composti in grande maggioranza da bianchi in luoghi in cui la popolazione è in maggioranza nera. Tuttavia questi servizi di polizia non rappresentativi continuano a beneficiare di fondi federali.

Occorre agire per la comunità
I contratti di fornitura della polizia e dei pompieri di Ferguson sono finanziati dallo Stato federale, compresi quelli concernenti il materiale militare usato per reprimere le manifestazioni. Bisogna porre fine a questa politica federale di ghettizzazione che tollera l’irresponsabilità e l’impunità della polizia e organizza l’occupazione militare. Lo Stato federale applica una politica di isolamento comunitario là dove dovrebbe dare l’esempio di una politica di sviluppo comunitario e di ricostruzione per i quartieri svantaggiati del centro città  come per le periferie residenziali in difficoltà e per le cittadine rurali povere.
Di fronte ad avvenimenti come quelli di Ferguson lo Stato federale può mobilitarsi in altro modo che con l’occupazione militare e l’instaurazione della legge marziale: deve mobilitarsi in favore dell’impiego e dello sviluppo economico, in favore della sanità e dei servizi di prossimità. Ferguson e le città che le assomigliano devono mobilitarsi per porre fine alla discriminazione razziale nella polizia, tra i pompieri e dovunque essa si manifesti.

Sviluppo della repressione
I casi di agenti che sparano su giovani neri si moltiplicano in modo allarmante. Il 22 novembre, a Cleveland, un poliziotto ha ucciso Tamir Rice, 12 anni, perché aveva in mano una pistola finta, un semplice giocattolo.
Secondo uno studio condotto dal sito di giornalismo investigativo ProPublica, negli Stati Uniti i giovani neri hanno 21 volte più probabilità di essere uccisi da una pallottola rispetto ai loro coetanei bianchi. I neri vengono arrestati 10 volte più spesso dei bianchi, ricordava il quotidiano USA Today la settimana scorsa, sebbene la criminalità tra i neri non sia dieci volte superiore. E la crescita del complesso penitenziario-industriale (più prigioni private, più tribunali, più commissariati, una maggiore presenza della polizia, materiale militare nuovo di zecca) è divenuta la priorità dello “sviluppo” in zona urbana. Ma la priorità dovrebbe essere data all’impiego e alla formazione professionale, a più istituti scolastici e a più insegnanti, a un maggiore sostegno alle imprese per offrire una stabilità economica duratura alle popolazioni.
Che una giuria che è al corrente di tutte queste sfide abbia potuto giustificare un omicidio in più è davvero difficile da mandar giù. La situazione può sembrare disperata. Certamente l’ingiustizia a ripetizione porta in sé un rischio di anarchia, ma la giustizia è sempre portatrice di pace. E le manifestazioni a Ferguson e altrove negli Stati Uniti sono la prova che la lotta per la giustizia continua. (The Guardian, 28 novembre 2014; trad. it. G. M. Schmitt)

Jesse Jackson, 73 anni, è uno dei più noti militanti nella causa per i diritti civili negli Stati Uniti. Sempre attivo in seno all’organizzazione di “sviluppo sociale e religioso” Rainbow Push Coalition, è stato due volte candidato all’investitura del Partito Democratico per le elezioni presidenziali, nel 1984 e del 1988.

Tratto da: http://www.voceevangelica.ch/focus/focus.cfm?id=22757

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