La fede che Gesù vorrebbe, o che non vorrebbe, trovare

Fateci caso. Questa è l’unica parabola (Lc 18:1-8) di Gesù che termina con una domanda, piuttosto inquietante, rivolta a tutti noi, quasi un lascito e una sfida. Una domanda che riecheggia nelle nostre orecchie da più di duemila anni e che è preceduta da una raccomandazione: quella della preghiera. Ricordiamoci che Gesù ha già insegnato ai suoi discepoli il Padre Nostro quando gli hanno chiesto di insegnargli a pregare (Lc 11, 1-4) e che ha già parlato loro della necessità di insistere nella preghiera (Lc 11, 5-13) per ricevere lo Spirito Santo, la cosa più necessaria ai credenti.

In questa parabola Gesù ci racconta di una vedova (quella delle vedove è la categoria indifesa e oppressa per eccellenza nella Bibbia, insieme a quella dell’orfano e del povero) e di un giudice che non teme Dio e che non ha rispetto per nessuno. La vedova però, grazie alla sua insistenza, riesce ad avere giustizia. La conclusione di Gesù è lapidaria: “Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà loro giustizia con prontezza”. (Lc 18, 6-8a) Il giudizio, quindi, avverrà in fretta e la Chiesa non dovrà aspettare molto anche se i tempi del Signore non sono i nostri tempi.

“Perché mille anni sono ai tuoi occhi come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia della notte” (Salmo 90,4).

Gli fa quasi eco Lutero: Dio esaudirà le nostre preghiere, ne siamo certi, ma non sappiamo quando e in che modo.

E questo giorno, il giorno del suo ritorno e del giudizio, va aspettato in perseverante preghiera. Una preghiera nutrita dal desiderio del Signore. “Se continuo è il tuo desiderio, continua e la tua preghiera” dice Agostino commentando il salmo 37.

L’invito alla preghiera continua e insistente, del resto, ci è più volte ripetuto anche dall’apostolo Paolo: “Non cessate mai di pregare” (1 Tessalonicesi 5,17) o Romani 12,12 (“Siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”) o Colossesi 4,2 (“Perseverate nella preghiera”). Solo per afre alcuni esempi.

Pregare per vivere continuamente in amoroso dialogo con il nostro Signore, compiendo tutto alla sua costante presenza, cercandolo in ogni cosa, ascoltando la sua voce e aprendo quindi le orecchie e il cuore alla Sua Parola. “Parla, Signore, poiché il tuo servo ascolta” (1 Sam 3,9).

Pregare per perseverare nell’attesa senza lasciarsi vincere da un mondo in cui ormai vige la convinzione che ogni cosa è nelle nostre mani, che l’uomo è artefice di se stesso e che non vi è più posto per Dio nel mondo nuovo che ci siamo costruiti. Un mondo perfetto governato da algoritmi.

Ma torniamo alla domanda iniziale. Sappiamo che la seconda venuta del Signore sarà preceduta da un tempo di persecuzione, apostasia e incredulità. (Mt 24, 9-13; 24)

E, se facciamo bene attenzione, il Signore non ci chiede se al suo ritorno troverà l’amore, anche se sappiamo che “l’amore di molti si raffredderà” (Mt24,12) e che un amore freddo è un amore ormai morto. Ma il Signore ci chiede se troverà la fede, la cosa che gli sta più a cuore, la radice della vita, la sorgente di ogni autentico amore, quasi la madre di ogni cosa. Quante volte ha detto “La tua fede ti ha salvato”?

“Se non avrete fede, certo non potrete sussistere”, aveva detto Isaia (7,9).

Sappiamo anche però che Gesù è già venuto una volta. E che tipo di fede ha trovato allora? Fra i suoi contemporanei? Nel suo popolo? Ha trovato la fede di Caiafa, che è fede nella Legge, una Legge che lo ha condannato a morte. Ma ha trovato anche la fede di Roma che credeva nella sua missione civilizzatrice portata avanti a colpi di spada per le strade del mondo allora conosciuto e fino ai suoi estremi confini. Un fede che Gesù contesta, come prima aveva contestato anche quella di Caiafa. Cosa dice Gesù a Pilato? “Tu non avresti potestà alcuna contro di me se ciò non ti fosse dato dall’alto” (Gv 19, 10-11)

La fede che cercava Gesù non l’ha trovata neppure fra i suoi. Ricordate l’episodio di Nazareth? “E si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,6)

Non l’ha trovata né in Galilea, né in Giudea e soprattutto a Gerusalemme, la città santa, sulla cui sorte piangerà. Ma non l’ha trovata neppure fra i suoi stessi discepoli. “Gente di poca fede” (Mt 6,30; 8, 26; 16,8)

Ma l’ha trovata in un pagano, un centurione di Capernaum. “Io vi dico, in verità, che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande” (Mt 8,10)

E oggi che fede troverebbe il Signore?  Troverebbe di sicuro molte credenze, anche le più fantasiose, ma troverebbe anche numerose fedi, che magari si richiamano al suo insegnamento o che lo venerano come profeta ma che nel contempo incendiano e devastano il mondo. Di sicuro troverà altre Roma che usano la religione, la piegano ai propri fini. Nazioni benedette dal Signore e i cui leader giurano sulla Bibbia.

O magari troverebbe credenti, seppure formalmente cristiani, che non lo attendono più. Chiese senza annuncio della grazia. Chiese che non hanno più bisogno di Dio, che ne posso fare benissimo a meno. Anzi, che ne hanno fatto già a meno.

“Il pericolo principale del XX secolo sarà la religione senza Spirito Santo, il  cristianesimo senza Cristo, il perdono senza ravvedimento, la salvezza senza rigenerazione, la politica senza Dio e il paradiso senza inferno” ha scritto William Booth, il fondatore dell’Esercito della Salvezza.

Il pericolo, lo sappiamo bene, è anche del XXI secolo. Lo vediamo tutti i giorni.

Diceva Lutero che credere è essere assolutamente decentrati in Cristo per la fede e nel prossimo per amore. Una fede obbediente a Dio e al servizio di ogni uomo.

Ecco forse è proprio questa la fede che Gesù vorrebbe trovare oggi sulla terra. Una fede che si faccia concreta ospitalità per Dio. “Ecco io sto alla porta e picchio: se uno ode la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me” (Apocalisse 3,20)

Ancora oggi Dio cerca una dimora sulla terra. La cerca anche adesso e quella dimora possiamo essere noi: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui” leggiamo in Giovanni 14, 23.

Perciò credere, avere fede, affidare la propria vita completamente a Dio può essere semplicemente questo: aprire la porta della nostra esistenza a Dio in totale obbedienza alla Sua Parola e lasciarlo entrare per dimorare in noi. Prepariamo, pertanto, la nostra casa in desiderante e orante attesa del nostro Signore. Finché egli venga. In modo da portegli dire con tutta la nostra esistenza ogni giorno, ogni istante: “Vieni, Signore Gesù” (Ap. 22, 20)

Davide Romano

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