La noia, tra responsabilità e mancanza di senso

Comunemente si identifica uno stato di noia con il non provare emozioni, il trovarsi in un ambiente privo di stimoli, il non sentirsi motivati a niente, eppure contrariamente a queste concezioni la gente oggi vive costantemente negli stimoli, vive costantemente con qualcosa da fare, e al contrario si dà troppo da fare.

Paradossalmente è proprio nel troppo che la persona, l’individuo si deve interrogare. Nonostante il troppo da fare si vive di noia. A questo punto fare una precisazione ovvero la relazione stretta tra noia e insoddisfazione. E’ quest’ultima condizione che porta alla noia? Di certo è che quando ci sentiamo annoiati tutto non si presenta interessate ai nostri occhi. Niente ci stimola. Ed è qui che entra un’altra precisazione: sono le cose esterne a noi ad essere importanti, ad assumere un senso o quello che da noi esce ad assumere un valore significativo? «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo». (Marco 7, 21-23). Il monito, chiaramente è una spinta, per l’uomo di ieri e di sempre a considerare il potere che è in se e non nelle cose esterne. Troppo spesso l’uomo si spersonalizza perché non si dà quel significato, quel valore tale per cui depone sulle cose esterne la motivazione del vivere. Così succede di una persona, che legandosi eccessivamente al suo ruolo, si annoia nel tempo, perché da esso dipende la sua esistenza, il suo essere; così succede che una persona dopo anni di lavoro, andato in pensione, va in depressione, perché da esso dipendeva; così succede nelle relazioni interpersonali, da esse ci si aspetta qualcosa, tipica delle illusioni infantili, nel tempo si annoiano solo perché non rispondenti alle proprie illusioni. Sta di fatto che il potere è nell’esterno. E’ il tempo in cui la persona annoiata comprenda che l’insoddisfazione della vita porta alla noia. Per superare lo stato di noia è necessario considerare la vita come valore e come vocazione, perché ogni vita sempre e in qualunque situazione richiede una risposta (P. Riccardi, “ogni vita è una vocazione; per un ritrovato benessere; ed. Cittadella 2014). Molto spesso la visione della vita annoiata si nasconde dietro la frase: ma la vita cosa mi dà? Cosa mio offre? Sarebbe meglio, per dare sfogo alla propria chiamata chiedersi cosa io do alla vita? Cosa io offro? Ciò che è importante non è quello che si riceva ma quello che si dà. Probabilmente una visione che si soffermi su cosa si riceve dalla vita, su cosa si è avuto nasconde una considerazione della vita troppo legate alle cose terrene, materiali facendo perdere di vista il senso della responsabilità, evidenziata dalla spiritualità di Gesù (P. Riccardi, Psicoterapia del cuore e beatitudini, ed Cittadella 2018). Ogni situazione di crisi, di noia non può esser affrontata con il solo lamentarsi o cadere nello stato di passività solo per giustificarsi e deresponsabilizzarsi, non serve a nulla. Lamentarsi con “il niente mi dà gioia” non risolve certo la noia. La responsabilità di chiedersi “cosa posso fare ora per questo stato di cose è rendere la propria vita attiva e significativa.
I cristiani non possiamo essere impassibili di fronte al messaggio di Gesù che invita ad essere operativi non nel pensiero e nelle idee, affermando conversione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Marco 1,15). Con-versione è nel senso di cambiare verso, direzione, modo di essere e solo così ci si accorge che le tanto realtà esterne, dai ruoli rivestiti, del prestigio provato, al narcisismo dell’io sono solo ricchezza materiali di cui portano alla noia mascherata dietro una vita insignificante e senza responsabilità.

Ed ecco, ancora una volta, il messaggio vincente della “povertà di spirito”, intesa come non dipendenza, legame, attaccamento all’esterno che causa noia, insoddisfazione, ma prima di tutto provoca una spersonalizzazione del cuore dell’uomo (Ibidem 2018)

Pasquale Riccardi

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