La “theorìa” della Croce..

Questa che si presta è una settimana importante, di forte “ conversione “,che rinnova di anno in anno, un momento importantissimo per noi credenti. Non si tratta infatti di vivere su tradizioni tramandate, ma di ripercorrere il momento della “nostra vittoria!”

Tra i vangeli, l’apostolo Luca, il più dotto di fatto, usa (unica volta in tutto il Nuovo Testamento) la parola theorìa, che vuol dire visione, contemplazione, spettacolo. Infatti lì, proprio in quel momento, vediamo com’è Dio e chi è: il suo Volto è finalmente svelato (il velo del Tempio è caduto, il “luogo” della rivelazione è altro ormai) e noi possiamo guardarlo senza temere di dover morire: è lui che offre la sua vita non solo per, ma anche a noi.

Nella “theorìa” della Croce non si tratta tanto di affermare che Gesù è Dio, ma il contrario: Dio, che nessuno ha mai visto e che qui si svela in tutta la sua nudità, è Gesù. Lì vediamo Dio così com’è: è la theorìa cristiana. Con buona pace di tutte e tutti coloro che si fanno portatori di tante altre “teorie” e professano verità indubitabili, questa è l’unica teoria che conosce Dio, l’unica che appare nella carne del Crocefisso. Le altre sono solamente idoli costruiti abilmente dalle nostre mani per soddisfare il nostro desiderio di possedere tutto, persino Dio stesso.

Nel racconto della passione che ci viene descritta dall’apostolo Luca, questa tentazione idolatrica, assume tre volti espressi da tre figuranti nel quadro. Il primo idolo nasce dalla “visione” degli “arconti”, i capi religiosi del popolo i quali “exemuktérizon”, “storcono il naso per lo schifo” davanti a un dio incapace di salvare se stesso. Un dio così fa davvero pena! Dov’è il Signore che stende il braccio per operare meraviglie? Dov’è l’Altissimo che fa tremare i monti? Dov’è il Signore dei signori? Ecco il primo idolo concepito dalla mente e fabbricato dalla mano dell’uomo.

Il secondo si rivela nelle parole dei militari che si fanno beffe di una “regalità” così misera e incapace di salvare se stessa.

Il terzo emerge dalle parole di uno dei malfattori che rimprovera Gesù d’incapacità di salvezza per sé e per gli altri. Tutte e queste tre “visioni” sono accomunate dal fatto che in ognuna si attende una manifestazione di salvezza spettacolare: una salvezza capace di lasciare a bocca aperta e che risponde ai propri bisogni di un Dio che si manifesta secondo i nostri desideri e capricci.

Ma l’apostolo Luca, nel racconto, ci ricorda che la salvezza non sta nel fatto che noi siamo buoni e fedeli, ma che il Signore c’è fedele. La salvezza non sta nel dire, come Pietro, “io morirò per te” ma nell’accogliere il dono della vita di Dio che passa attraverso la carne crocifissa di Gesù di Nazareth…

Nella Passione Dio si rivela come Colui che ci fa dono di se stesso e non come un Dio che chiede di donarci a Lui.

Ecco allora la grande chiamata alla conversione: cambiare la nostra visione, la nostra idea di Dio per imparare ad accogliere in primo luogo ciò che lui fa per noi, piuttosto che arrovellarci a inventare cosa fare per lui. Se comprenderemo questo allora potremo contemplare con gratitudine questa “theorìa”, liberarci dagli idoli che ci siamo costruiti e vivere la nostra esistenza condividendo la stessa “passione” che Dio, in Gesù, nutre per tutta l’umanità.

Vincenzo Lipari

 

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