Lasciate che il grano e la zizzania crescano insieme fino alla mietitura

La parabola del grano e della zizzania (Matteo 13:24-30)

La seconda delle sette parabole del Regno riportate al cap. 13 dell’evangelo di Matteo, quella del buon grano e della zizzania, è un racconto parabolico che rivela una arguta, sagace capacità narrativa di Gesù, il quale con il suo latente linguaggio allegorico ha dato grandi grattacapi agli esegeti e ai semplici cristiani nel processo di interpretazione di essa.

Prima di tentare di cogliere il messaggio parenetico contenuto nella parabola, cerchiamo di riassumere la parabola, che contiene nello stesso capitolo anche una spiegazione.

Senza addentrarci negli ingarbugliati meandri dell’esegesi moderna per potere capire il significato della spiegazione della parabola, vogliamo cogliere gli aspetti più salienti della parabola.

E’ in scena nuovamente un contadino (cfr. Matteo 13:3 sgg.) in procinto di seminare un buon seme nel suo campo.  Stanco, ma soddisfatto, calata la sera va, a dormire. Coperto dalle ombre della notte, un suo malevolo  vicino, invidioso per la sua prospera attività, si ingegna di danneggiare il suo campo di frumento, seminando la zizzania, dileguandosi tra le tenebre più fitte. Il fattaccio viene scoperto dai servi dell’agricoltore, mettendolo al corrente di cosa è accaduto. L’agricoltore capisce che è stato il suo nemico. Contro ogni logica della sarchiatura, che avrebbe messo in qualche modo al riparo la buona crescita del grano, e tra la meraviglia dei suoi servi, l’agricoltore dispone che loglio cresca insieme al grano e solo alla mietitura venga separato da esso, ammassato in fasci e pronto per essere bruciato, mentre il grano raccolto e conservato nel granaio.

La parabola del buon grano e della zizzania, presente solo in Matteo dichiara qualcosa che caratterizza il Regno di Dio, secondo la formula introduttiva “Il Regno dei cieli è simile a un uomo…”. Il tema dominante è la pazienza. Secondo Jeremias la parabola è una esortazione alla pazienza. Egli dice: ” Perché è necessaria la pazienza? Due motivi elenca Gesù: per prima cosa gli uomini non sono assolutamente in grado di compiere la cernita(Mt13:29). Come loglio e grano sono a tutta prima talmente simili da poter essere scambiati, così il popolo santo del Messia occulto è nascosto tra i credenti apparenti. Gli uomini non possono vedere nel cuore; se essi volessero compiere la separazione, non farebbero che incorrere in errori e strapperebbero col loglio anche il buon grano.

Inoltre, e questo è  il secondo motivo, Dio ha stabilito l’ora della separazione. La misura posta da lui deve essere colmata (Matteo 13:48: eplerothe), il seme deve essere giunto a maturazione. Poi viene la fine, e con essa la separazione tra erbaccia e frumento, la cernita dei pesci con la divisione tra pesci buoni e cattivi. Allora la santa comunità di Dio, spoglia dall’aspetto servile, libera da tutti i malvagi, dai credenti apparenti e dai confessori a fior di labbra, farà la sua apparizione …” (1)

In realtà la parabola viene interpretata come esortazione alla pazienza da parte della chiesa. Nelle comunità cristiane coesistono falsi credenti e credenti autentici. Questa strana commistione di adoratori di Gesù e di falsi adoratori deve durare fino alla fine della storia. E’ Dio nel giudizio finale a separare i cristiani dai falsi cristiani. Prima no. Bisogna pazientare. Personalmente non sono del tutto convinto che questa sia la corretta interpretazione della parabola. Un siffatto modo di leggerla risale probabilmente alla interpretazione data da Agostino. Vi sono indizi  nel discorso parabolico di Gesù sul buon grano e sulla zizzania che fanno pensare ragionevolmente non alla chiesa ma al teatro tragico del mondo(cfr.Mt 13:38) Il cristiano è chiamato allora ad avere pazienza nella sua convivenza con i Cittadini del Secolo. La parola d’ordine è: seminare e far crescere. Ciò è una espressione di fiducia. Il compito assegnato al cristiano è l’annuncio fiducioso e non l’intervento violento per eliminare i malvagi. Certamente Gesù aveva in mente, probabilmente, il gruppo nazionalista degli Zeloti  che volevano eliminare con le armi il nemico oppressore, liberarsi con la forza dal giogo romano.

Ma non erano soltanto gli Zeloti i soli separatisti. Vi erano i Farisei, gli Esseni, circoli apocalittici. E’ ragionevole pensare che da costoro si alzava una violenta disapprovazione del comportamento amichevole che potevano avere alcuni Giudei nei confronti dei peccatori. Loro vietavano che si potesse avere relazioni con loro. E’ anche pensabile che chi ascoltava Gesù e il suo annuncio del Regno che sta per venire avrebbe potuto dare adito ad immaginare nei suoi ascoltatori un sconvolgimento catastrofico della società, una netta divisione tra “i figli della luce” e i “figli delle tenebre”, espressione molto cara ai separatisti di Qumran. Se il Regno di Dio è presente nel mondo, esso sarà definitivamente realizzato  con il giudizio finale. Non spetta agli uomini fare la cernita,dando vita a discriminazioni umane. Il Regno di Dio procede nella storia in maniera silenziosa, non fa rumore, esso è presente nella stessa persona di Gesù, che è allo stesso tempo l’araldo e il Rappresentante.

Avendo colto, a mio avviso, il senso originario della parabola, è lecito chiedersi: chi rappresenta loglio?

In botanica loglio (lolium temulentum) è una pianta erbacea velenosa che cresce insieme al grano. Essa non si distingue da questo fino a quando la spiga non sia formata. Nella parabola notiamo l’azione di vendetta di un nemico del contadino e un’azione di inquinamento di un seminato altrui era punibile dalla legge romana. Dunque, la parabola ha senz’altro elementi tratti dalla vita reale. Il latifondista saggiamente proibisce ai suoi servi la sarchiatura, benché essa venisse attuata in casi simili, perché essa danneggerebbe la crescita del grano. Solo quando il grano è maturo allora si può procedere alla separazione, destinando loglio, raccolto in fascine, ad essere bruciato, mentre il grano viene raccolto e custodito nei granai. Metaforicamente il loglio  rappresenta le forze contrarie alla crescita del Regno, ossia il rifiuto dell’evangelo, la malvagità e persino l’apostasia o il rinnegamento. Nonostante ciò, il Regno avanza comunque e arriverà al suo massima espressione con un raccolto abbondante. Solo allora il giudizio di Dio è definitivo. Solo allora il loglio sarà sradicato e bruciato.

Il Regno di Dio porta a una divisione. Tale divisione è in atto qui ed ora, in maniera nascosta, non marcatamente visibile. Alla fine della storia la divisione sarà definitiva e palese. Non ci sarà più appello per nessuno. Ecco l’amore del Signore: pazientemente aspetta, annunciando il suo Evangelo.

La chiesa ha questo ruolo di annuncio e di attesa. Certo, il loglio è presente anche nelle chiese. Ma la Chiesa ha il dovere di disciplinare non di giudicare del giudizio assoluto di Dio. La tesi dei cristiani liberali che affermano che non debba essere praticata la disciplina nella chiesa, appellandosi a questo testo, è infondata. La Chiesa non deve sarchiare, ma disciplinare. La disciplina è correzione e porta al pentimento e alla riammissione nella comunione ecclesiale. Ma l’eliminazione definitiva di chi rifiuta l’evangelo avviene solo e soltanto alla fine della Storia.

“… Ogni potere mi è stato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo… Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:18-20)

Joakim Jeremias – Le Parabole di Gesù – Paideia ed, Bs, 1973, pagg. 275-276

Paolo Brancè | Notiziecristiane.com

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