Lincoln e la schiavitù

L’ultimo film di Spielberg e la lotta contro lo schiavismo

(Muriel Schmid) Con il grande successo mediatico dell’ultimo film di Steven Spielberg, Lincoln, l’America rivisita in modo discreto un episodio doloroso del suo passato, la storia dello schiavismo e delle lotte politiche che hanno condotto alla sua abolizione. Non è probabilmente un caso, tuttavia, che il film di Spielberg sia dedicato al presidente Abramo Lincoln (nella foto, tratta da una banconota americana, ndr.), figura eroica della lotta contro lo schiavismo, il primo a averne attaccato la pratica.
Mentre la guerra civile infuria, il 1. gennaio 1863 il presidente Lincoln pubblica il decreto che dà ufficialmente inizio allo smantellamento dello schiavismo, il Proclama di emancipazione. Avvalendosi della sua autorità costituzionale di comandante in capo, Lincoln proclama così, senza passare per il voto del Congresso, la fine della schiavitù per uomini e donne che vivono negli Stati controllati dall’Unione.

Svolta nella guerra civile
Il proclama segna una svolta decisiva nella guerra civile che diventa di fatto una guerra per l’abolizione dello schiavismo: Lincoln si attira così i favori di alleati stranieri, ma compie allo stesso tempo il primo passo in direzione della fine dello schiavismo.
Nel 1865, al termine della guerra e in seguito alla vittoria dei nordisti, venne aggiunto alla costituzione il 13. emendamento, che dichiarava illegale ogni forma di schiavismo (lasciando una disposizione per la schiavitù come forma di punizione). Alla fine del 1865 ventisette dei trentasei Stati che formavano allora l’Unione avevano ratificato ufficialmente il nuovo emendamento.
Il Kentucky si distingue per averlo adottato solo nel 1976; peggio ancora fa il Mississippi, che ha ratificato l’emendamento nel febbraio 2013. I suoi politici si giustificano maldestramente ricordando che la pratica per la ratifica del 13. emendamento sarebbe iniziata nel 1995 e che, purtroppo, il formulario sarebbe andato perduto nei meandri della burocrazia… tra il 1865 e il 1995 ci sono ben 130 anni ed è difficile spiegarlo con dei semplici errori amministrativi!

Ritardi nella ratifica dell’emendamento
Quando ho sentito l’annuncio che il Mississippi aveva infine ratificato il 13. emendamento sono rimasta a bocca aperta! Il rapporto di certi Stati americani con la costituzione mi sembra molto strano; credevo ingenuamente che nel momento in cui uno Stato si univa all’Unione si impegnasse a rispettare la costituzione nella sua interezza, compresi i vari emendamenti! A giudicare dallo smacco del 13. emendamento nel Mississippi le cose non stanno così.
Questo smacco mi ricorda due cose: prima di tutto, ora che il presidente Obama ha appena iniziato il suo secondo mandato non bisogna perdere di vista l’incredibile evento che ciò rappresenta nella storia degli Stati Uniti; poi, più tristemente, non bisogna in alcun modo dimenticare il numero spaventoso di commenti razzisti che sono stati fatti in occasione della sua rielezione lo scorso novembre, in particolare su Twitter, che è servito da piattaforma per lunghe litanie di insulti.
E, guarda caso, l’Università del Mississippi fu allora, all’indomani dell’elezione, testimone di manifestazioni razziste che fecero la prima pagina dei giornali. Ci sarà, in fin dei conti, una correlazione tra il rispetto della costituzione e il successo di una certa educazione civica?

Forme contemporanee di schiavismo
Al di là del contesto americano sarebbe bene tuttavia cominciare una riflessione sulle forme contemporanee di schiavismo. Qualche giorno fa ho ricevuto un’informazione concernente una petizione lanciata da Religion & Race, un gruppo con base a Atlanta; in nome della loro fede cristiana i membri del gruppo denunciano le forme attuali di schiavismo, in particolare di persone di origine africana, e si appellano alle istituzioni internazionali affinché promuovano misure concrete contro il traffico di esseri umani, che sia per ragioni sessuali, economiche o militari.
Il testo della petizione inizia con la seguente constatazione: “È una tragica ironia che oltre un secolo dopo l’abolizione dello schiavismo centinaia di migliaia di donne e di uomini del continente africano vengano ancora ridotti in schiavitù…”
Una tragica ironia, infatti: lungi dall’essere un fatto legato al passato, il mondo conta oggi un numero record di persone in schiavitù (secondo le statistiche sono fino a 27 milioni di individui). Lo schiavismo non è abolito e andando a vedere il film di Spielberg e l’omaggio reso all’azione politica del presidente Lincoln sarebbe bene celebrare gli eroi di questa storia con moderazione.
Lo Stato del Mississippi, ratificando soltanto di recente il 13. emendamento costituzionale americano, è probabilmente più vicino alla realtà attuale concernente lo schiavismo: una battaglia che è lungi dall’essere terminata e che richiede la vigilanza di tutti e di tutte. Forse Lincoln ci sarà di ispirazione!

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