Mantello e bastone

Quando Elia fu trasportato in cielo accade quanto aveva preannunciato ad Eliseo, ossia la discesa del suo mantello (2Re 2). Durante il viaggio di andata con quel mantello il profeta aveva diviso le acque del Giordano. A quei tempi tale capo di abbigliamento era usuale tra i profeti, la manifattura era delle più modeste ed in genere era tutto ciò che questi possedevano. Difatti, quando il profeta per sfuggire alle minacce della regina Jezebel, fuggì sul monte Oreb, con sé aveva solo il mantello. Dio lo chiamò ad uscire fuori dalla caverna in cui si era rifugiato, ma egli si coprì il volto con esso, vi mise la sua faccia all’interno letteralmente nascondendosi. Dopo il rapimento quando vide discendere dal cielo il mantello, Eliseo riconobbe e ricordò quanto il profeta gli aveva detto e fatto. Difatti, dopo che il Signore ordinò ad Elia di scendere dal monte, sul quale si era rifugiato per tornare indietro, gli comandò di ungere Eliseo come suo successore. Egli lo coprì con il suo mantello annunciandogli che in futuro avrebbe preso il suo posto. Ora che Elia non c’era più gli toccava indossare il suo mantello per fare quanto e di più di quel che questi aveva fatto. Così tornò indietro e come Elia arrotolò il mantello e battendolo sul Giordano gridò: “Dov’è il Dio di Elia?”. Come a dire: “Se sei con me, fa come hai fatto con lui”. Quando il mantello toccò le acque queste si aprirono permettendo il passaggio. Sull’altra riva i discepoli assistendo alla scena osservarono come lo Spirito dell’Eterno era su Eliseo.

Il mantello rappresenta la nostra dignità, l’umanità, quel che siamo e appariamo, ciò che tutti vedono ed apprezzano. È simbolo di quello che Dio ha depositato dentro di noi, ma non ci appartiene perché al momento opportuno deve essere trasmesso ad altri. Anche se non è riferito Eliseo avrà lasciato il suo mantello a qualcun altro. Nel prosieguo della narrazione vi è un cambiamento: si passa dal mantello al bastone. Infatti, quando la donna sunamita perde il figlio, che Dio le aveva concesso, si reca dal profeta per riferirglielo e chiedergli di intervenire. Eliseo manda il suo servo Gheazi con queste indicazioni: “Cingiti i fianchi, prendi in mano il mio bastone, e parti […] poserai il mio bastone sulla faccia del bambino” (2 Re 4:29). Il bastone in questo contesto rappresenta il trasferimento dell’autorità, una delega ministeriale. Il servo, arrivato nella casa della donna, fa ciò che il profeta gli aveva detto, ma nulla accadde. Il fallimento della missione è spiegato in maniera ironica in una Midrash ebraica, la quale afferma che durante il viaggio Gheazi abbia giocato con il bastone, come a dire che abbia perso di vista quella che era la visione per cui era stato mandato. Al giorno d’oggi sarebbe come dire che un discepolo poco diligente, dimenticando le esigenze impellenti, si è lasciato distrarre da altro e, una volta arrivato sul posto, ha messo in atto una sorta di sceneggiata. A volte quando ci troviamo a sostenere qualcuno che vive una situazione difficile, la nostra presenza è solo “per assolvere un compito”, un “dovere” e non riusciamo a portare né amore, né potenza nel nome del Signore. Nel servizio ministeriale è indispensabile delegare. Gesù lo fece quando inviò i settanta discepoli, curandone dodici in particolare e spendendo per loro del tempo. Nonostante ciò molti dopo la Sua morte lasciarono tutto e ritornarono alla vecchia vita.

Gheazi era tornato da Eliseo per riferirgli del fallimento, ma questi non proferì parola. Non parlò perché nel momento in cui il servo aveva ricevuto il bastone avrebbe dovuto ripetere a sé stesso e tenere ben presente nella sua mente la missione che stava andando a compiere. Quale bastone stiamo stringendo? Come stiamo vivendo la nostra fede? Quando raggiungiamo gli altri quale bastone usiamo? E come chiesa cosa stiamo portando agli altri? Oggi non indossiamo mantello né portiamo bastone, ma abbiamo “la spada dello Spirito”, ovvero la parola di Dio che ci ricorda ciò che Egli ha fatto per noi. In essa troviamo l’autorità conferitaci da Gesù, la possibilità di fare le Sue stesse opere. Come? Meditandola giorno e notte. È necessario che la leggiamo e la meditiamo poiché essa alimenta la nostra fede. L’esperienza si accumula nel tempo, la si trasferisce e la si racconta ad altri. La fede non ci è sconosciuta. Come il profeta teneva il mantello addosso e il bastone nelle mani, noi dobbiamo farci avvolgere dalla parola di Dio e tenerla nelle mani: essa è lampada che illumina i nostri passi. Quando sta per spegnersi, dobbiamo provvedere come le vergini avvedute a ricaricarla chiedendo al Signore di essere ripieni di Spirito Santo. Fondamentale è leggere, studiare e meditare la parola. Importante è trasmetterla anche ai nostri figli. Così il Signore benedirà noi e le generazioni future.

Elpidio Pezzella | elpidiopezzella.org

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