Morire aggredito tra l’indifferenza

Di qualche giorno fa la notizia di un omicidio per futili motivi. O meglio per richiesta di elemosina.

Succede a Civitanova Marche. L’omicidio del 39enne di origine nigeriana, Alika Ogorchukwu, nella città del Maceratese per brutale aggressione subita dall’ambulante straniero, ospite in Italia da ben sedici anni. Raccapricciante è il video ripreso dai passanti e trasmesso dai media nazionali in cui si vedono, per ben quattro minuti, le immagini della colluttazione, con il nigeriano che, dopo aver tentato di resistere, resta esanime a terra e con l’aggressore che riprende il suo cammino. Tutto questo avviene tra l’indifferenza generale dei presenti e la curiosità di vedere come finisce l’epilogo. Cosa risulta più strano, l’indifferenza o forse la paura di intromettersi, intervenire in prima persona? Per la psicologia, l’indifferenza, è uno stato affettivo neutro dove chi la mette in atto non sente e non prova nessun sentimento o emozione e quindi nessun dolore. In un discorso di più profonda psicologia diventa un meccanismo di difesa psicologica dove l’io si difende con inconsci atteggiamenti di passiva osservazione del fatto. Ma da cosa si difende l’io? Dalla paura di essere tolleranti, di vivere il senso della fratellanza, di percepire il dono dell’amore e il senso della comunità.

Dal video messo in onda dai rotocalchi nazionali si sente qualche sporadica vocina che dice all’aggressore: lo stai ammazzando. Ma alla vocina non fa seguito l’azione di intervenire. Allora indifferenza e paura si mescolano lasciando spazio alla cultura dell’odio e della insofferenza al disagio altrui. Dopo tutto ciò che il 39 enne chiedeva era qualche spicciolo per sopravvivenza. Cosa esprime il disagio altrui, la richiesta di aiuto del 39 enne nigeriano? Nient’altro che fragilità. Siamo minacciati dalla paura della nostra stessa fragilità interiore a cui mal volentieri vogliamo confrontarci perché considerata dannosa in quanto è una “ferita”. È nella riscoperta delle proprie ferite, delle proprie debolezze l’uomo nuovo e forte. La fragilità, infatti, spinge l’uomo a chiedere aiuto al fratello credendo che l’altro è in suo soccorso. L’arte della correzione fraterna espressa nell’ammonimento evangelico, Mt 18,15-20, segna il senso della comunità dove gli uni si accordano e si sostengono a vicenda in virtù delle proprie fragilità. Ma in una società che disprezza i deboli è vulnerabile, crudele, disumana. Come è stato disumano porre fine alla vita di un uomo bisogno di sopravvivenza. Senza confronto con le proprie fragilità l’uomo si chiude nel narcisismo arrogante di chi si crede di bastare a sé stesso senza interferenza alcuna. Senza confronto con le proprie fragilità, arroganza e litigiosità la fanno da padrona su chi è debole e bisognoso. Ma non è nella sopraffazione all’al debole la forza ma nel riconoscimento delle proprie pochezze e fragilità interiore, nelle proprie paure di sentirsi minacciati dal bisogno di aiuto dell’altro.  L’apostolo Paolo ricorda: “quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Nella debolezza dell’apostolo si manifesta la potenza di Dio.

Pasquale Riccardi

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