Moschee mascherate da depositi industriali, madrasse nascoste negli scantinati di abitazioni e scuole coraniche nei garage. L’Emilia si è sempre vantata del numero elevato di luoghi di culto per islamici, segno della grande capacità di accoglienza delle amministrazioni rosse. Ma l’immigrazionismo più spinto, portato avanti con dosi elevate di buonismo ideologico adesso presenta il conto. Una mappatura ufficiale non c’è, ma sono decine e decine nella sola provincia di Reggio i luoghi di culto non autorizzati dai Comuni dove le comunità islamiche di pakistani si ritrovano per pregare orientati verso la Mecca. I Comuni non sanno più che pesci pigliare perché, complice un meccanismo burocratico che non si è mai voluto modificare, molti Comuni della provincia di Reggio, compreso il capoluogo adesso si trovano con moschee abusive dal punto di vista urbanistico nei confronti delle quali si dovrà procedere con sanzioni ed esercitare un dovere di controllo che prima era stato loro risparmiato. Oppure, facendo finta di nulla, come è stato fatto fino ad ora.
A Reggio Emilia le due moschee di via Piccard e via Gioia erano considerate dalle giunte rosse esempi di integrazione eccellente e poco importava se gli imam non conoscevano neppure l’italiano. Ma a più di dieci anni dalla loro apertura si scopre che non sono state correttamente registrate come luogo di culto e adesso l’amministrazione sta procedendo a sanare la situazione di abusivismo. Situazione che non è affatto un mero problema amministrativo perché entra nel cuore del complesso meccanismo di diritti e doveri che non è stato soppesato adeguatamente. Costruire una moschea è difficile perché bisogna passare dai Consigli comunali e coinvolgere l’opinione pubblica. Così le tante comunità islamiche della Pianura padana, soprattutto pakistane, si attrezzano come possono. E, sfruttando le maglie larghe di una legge che dà loro ampia possibilità di ovviare alle normative, hanno trovato una soluzione che fino a ieri andava bene a tutti. Vengono costituite associazioni culturali islamiche. A Luzzara c’è il Pak Muhammadia Islamic Welcolme Center, a Guastalla, sulle rive del Po, l’associazione culturale e sportiva Pak Mohammadia, a Boretto, nel centro della Pianura padana il Centro Islamico Medina.
Quasi tutti i Comuni ne hanno uno. Il Comune riconosce il loro carattere sportivo, aggregativo e culturale. Dotati di una vasta capacità finanziaria, in alcuni casi che gli proviene dall’Inghilterra, dalla Norvegia o dallo stesso Pakistan, queste associazioni sono in grado di acquistare cash degli immobili: cantine, depositi, garage, abitazioni private, capannoni. È qui che stabiliscono la loro sede ed è qui che chiedono al Comune di poter effettuare quegli interventi di manutenzione straordinaria facilmente avviabili tramite una “Scia”, una Segnalazione di inizio attività che è concessa alle attività produttive e che comporta snellimento burocratico e vantaggi fiscali. Al termine dei lavori di adattamento vi stabiliscono il loro luogo di culto con l’ingresso di tappeti, leggìo con Corano e panche orientate verso la Mecca. Intanto al Comune viene comunicata l’attività principale svolta: che il più delle volte è di tipo artigianale. Ma che artigianale non ha proprio nulla.
Ecco fatta in poche mosse la moschea del paese senza dover passare dalla forche caudine di un percorso partecipativo pubblico e soprattutto senza che il Catasto registri questo come luogo di culto. I Comuni non sanno che fare: da un lato devono garantire una pax sociale che hanno vantato in tutti questi anni, dall’altro, complice la natura privatistica dell’associazione e il fatto che è proprietaria dell’immobile non riescono neppure a esercitare il dovuto controllo, oltre ad essere beffati dal loro stesso buonismo. E c’è chi fa finta di nulla. Il sindaco Pd di Guastalla si indigna: «Nessuna moschea abusiva, è una leggenda metropolitana». Non proprio, come documenta il reportage del quotidiano Prima Pagina che è andato a fotografare la preghiera dell’imam nello scantinato di una casa Anni ‘50, sul cui campanello compare il nome di un tizio pakistano. Basterebbe mandare la Polizia municipale durante la preghiera e far scattare le dovute sanzioni per il non rispetto della destinazione d’uso. Sanzioni che prevedono il sequestro dell’immobile o la chiusura fino alla regolarizzazione.
Basterebbe. Ma nessuno da queste parti si è mai azzardato a far valere il braccio “violento” della legge, sempre per quella malposta fiducia nel nome dell’immigrazionismo e per evitare reazioni poco piacevoli delle comunità che fino a ieri percepivano la loro moschea come un diritto senza doveri. Un bel pasticcio, che emerge proprio nel momento storico più difficile, con la paura di trovarsi in casa una cellula fondamentalista islamica. E mentre i cristiani nei Paesi islamici sono perseguitati o vessati. Il sindaco di Luzzara e segretario provinciale del Pd lo dice chiaro e tondo: «Abbiamo armi spuntate», mentre il primo cittadino di Boretto chiede che la faccenda venga sanata dalla politica. Già, quella stessa politica che ha chiuso gli occhi dicendo che tutto era regolare e che chi si opponeva alle moschee era un fondamentalista.
di Andrea Zambrano
Fonte: http://lanuovabq.it/
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