Opporsi all’aborto in Europa: la strada da percorrere

Pubblichiamo di seguito un intervento di Grégor Puppinck, direttore dell’European Centre for Law and Justice (Eclj), tenuto al parlamento europeo il 23 novembre 2022, in cui indica quale dovrebbe essere la strategia da mettere in atto in Europa per contrastare l’aborto. La traduzione, con adattamenti della Redazione, non è stata rivista dall’Autore.




L’aborto è un enorme problema sociale di salute pubblica

I sostenitori dell’aborto spesso affermano che gli uomini non hanno diritto di parola sull’aborto. Che dovrebbero rimanere in silenzio. Non sono d’accordo. Penso che, in quanto essere umano, sia mio dovere parlare e dire la verità. Per il bene delle donne, dei bambini e della società.

L’aborto ci riguarda tutti, perché il bambino è “uno di noi”, perché uomini e donne sono indissolubilmente legati in ogni aspetto della vita, specialmente in quello più importante: l’amore e il dono della vita. Tutti noi, uomini e donne, abbiamo la responsabilità morale di contrastare questo flagello devastante.

A oggi, sono più di un miliardo gli aborti effettuati nel mondo. Ogni anno in Europa l’aborto mette fine a un terzo delle gravidanze, nella misura di 4.500.000 aborti contro 8.500.000 nascite (nei Paesi del Consiglio d’Europa). Viste le dimensioni del fenomeno, le sue cause e conseguenze, l’aborto rappresenta un enorme problema di salute pubblica al quale la società può e deve rispondere.

È necessario precisare sin dall’inizio che la causa principale dell’aborto non è la gravidanza in sé, ma il contesto in cui essa avviene. Una donna abortisce non a causa della gravidanza – che è solo un fattore scatenante -, ma a causa di determinate circostanze e se, questa donna, si trovasse in circostanze diverse non ricorrerebbe necessariamente all’aborto. L’aborto è quindi il risultato di una combinazione di circostanze delle quali la società è in parte responsabile. Infatti, il 75% delle donne che ha abortito dichiara di essere stata spinta a farlo a causa di condizionamenti sociali o economici.

La decisione di abortire è spesso frutto di pressioni che possono assumere diverse forme: vi sono le costrizioni e le pressioni in ambito sociale e medico, le pressioni e l’irresponsabilità del padre, le pressioni esercitate dai familiari, in particolare sulle minorenni; vi sono anche le pressioni da parte del datore di lavoro e tutte le pressioni di tipo materiale. Questi condizionamenti incidono in modo diretto sulla libertà della donna e della coppia.

Affermare, come verità ufficiale, che l’aborto è una libera scelta personale, è un errore ideologico. Separa la questione dalle sue vere cause e, infine, fa ricadere la colpa sulla donna, poiché questa violenza sarebbe il risultato della sua personale volontà, della sua libera scelta. Se l’aborto non è altro che una libera scelta, una scelta personale, allora la donna ne è totalmente responsabile.

Significa lasciarla sola ad affrontare una situazione violenta: vittima e colpevole al contempo, in una situazione psicologica complessa, quando questa violenza è perlopiù generata, strutturalmente, dalla società.

Non stupisce, pertanto, che l’aborto provochi così tanti disturbi mentali, depressione e idee suicidarie, soprattutto tra le giovani. Il 42% delle donne che abortisce prima dei 25 anni soffre di depressione. La metà delle minorenni che abortisce manifesta pensieri suicidari. Le donne che abortiscono hanno una probabilità tre volte maggiore di subire violenza fisica, psicologica o sessuale rispetto alle donne che portano a termine la gravidanza. L’89% delle donne francesi ritiene che «l’aborto lasci cicatrici psicologiche con cui è difficile convivere» e il 72% ritiene che «la società dovrebbe fare di più per aiutare le donne a non abortire».

Come si può vedere, l’aborto fa male, non si tratta di un concetto né di una libertà astratta, ma di una realtà cruenta e drammatica, ed è assurdo pretendere che sia considerato un “diritto umano fondamentale”; l’aborto non sarà mai un diritto umano, ma sempre una violazione o una deroga al diritto alla vita, perché non può esservi alcun diritto sulla vita di un essere umano innocente, che lo si chiami potenziale o meno. Inoltre, e in definitiva, se l’aborto fosse un vero “diritto umano”, procurerebbe gioia e non sofferenza, e potremmo esibire l’aborto con orgoglio. In aggiunta, il fatto che una percentuale significativa e in aumento di medici si rifiuti in coscienza di eseguire aborti, dimostra che questa pratica è da considerarsi immorale.

Anche qui, a Strasburgo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ripetutamente e chiaramente stabilito che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo «non può essere interpretata nel senso di conferire il diritto all’aborto». Lo stesso vale per le Nazioni Unite, dove diversi comitati considerano l’aborto come un’eccezione al diritto alla vita e non hanno mai riconosciuto alcun diritto all’aborto “su richiesta”. Anche la Cedu dichiara che uno Stato può – cito – «legittimamente scegliere di considerare il nascituro come una persona e proteggere la sua vita» [A.B.C. vs. Ireland].

Che cosa dobbiamo fare, dunque? Qual è la strada da seguire?

Da un lato, dobbiamo lottare e difendere la società dalle pressioni della lobby dell’aborto che da sempre spinge perché si abortisca sempre di più. Dall’altro lato, dobbiamo promuovere politiche pubbliche volte a prevenire l’aborto. È necessario fare entrambe le cose.

Primo: difendere la società dalla lobby dell’aborto

L’industria e la lobby dell’aborto dispongono di miliardi di dollari e sono profondamente infiltrate nelle istituzioni internazionali, incluso questo parlamento, così come all’Oms, alle Nazioni Unite e persino in seno alla Cedu. Per fare un esempio, l’industria e la lobby dell’aborto finanziano copiosamente la divisione dell’Oms che si occupa di controllo della popolazione, così come ingaggiano e finanziano numerosi esperti delle Nazioni Unite. L’esperta delle Nazioni Unite sul diritto alla salute è una professionista militante e un medico abortista che descrive l’aborto come «un atto radicale di amore per se stesse». Questa persona è stata designata per questo incarico di alto funzionario delle Nazioni Unite per il suo impegno a favore dell’aborto.

Il programma dell’industria dell’aborto è molto semplice: sempre più aborti e sempre più fondi pubblici. Spingono per l’aborto senza restrizioni e per qualsiasi motivo, in ogni luogo, in ogni momento, persino fino alla nascita. Quanto ai soldi, tenete presente che l’industria dell’aborto viene pagata per ogni aborto che pratica e che detiene i brevetti di molte pillole e dispositivi abortivi e contraccettivi. È un business gigantesco, oltre a essere un problema enorme per quanto riguarda il controllo demografico dei Paesi poveri.

Non sono democratici e nemmeno liberali

Non sono democratici perché non ammettono il dibattito sull’aborto e spesso usano l’intimidazione, la violenza verbale e fisica per mettere a tacere chiunque voglia difendere le vittime dell’aborto. L’aborto è stato legalizzato, in molti Paesi, non dai parlamenti, ma dall’attivismo dei giudici, solitamente contro la volontà della maggioranza. Ecco perché la decisione “Dobbs” della Corte suprema degli Stati Uniti è eccellente: rimanda la questione al popolo.

E, poi, non sono liberali perché fanno pressioni per privare i medici della libertà di coscienza, per privare i genitori delle loro responsabilità e diritti, per sopprimere la libertà di parola contro l’aborto, per vietare i centri di aiuto alla vita, si battono nei tribunali a sostegno degli aborti selettivi sulla base della razza, del sesso ed eugenetici, così come a sostegno dell’aborto a nascita parziale e dell’infanticidio neonatale. Non sono unicamente contro la vita, ma anche contro le libertà.

Non sono democratici né liberali, perché sanno che l’aborto su richiesta è intrinsecamente immorale e indifendibile. Per questo vogliono che diventi un “dogma” facendolo inserire nella Carta dell’Ue e nelle costituzioni nazionali. Ma questo non cambierà la realtà intrinseca dell’aborto. Questo è puro positivismo giuridico.

Dunque, contro l’industria dell’aborto, dobbiamo difendere i veri diritti umani e la giustizia nei tribunali e nei parlamenti, su tutti i fronti.

In secondo luogo, dobbiamo promuovere politiche pubbliche volte a prevenire l’aborto

[…] Attualmente, le politiche sociali e pro-famiglia adottate in Ungheria dimostrano che questo è possibile. Solo nei primi cinque anni di tali politiche, tra il 2010 e il 2015, il numero di aborti in Ungheria è diminuito del 23% e, nel frattempo, i matrimoni e le nascite sono raddoppiati. Questi progressi sono stati raggiunti senza modificare la legge sull’aborto.

La riduzione del ricorso all’aborto non è solo un dovere per il bene delle donne, dei bambini e della società nel suo complesso, ma è anche un obbligo giuridico previsto dal diritto internazionale. I governi si sono impegnati a fornire «tutela e assistenza quanto più ampia possibile» alla famiglia «fintanto che la stessa è responsabile del mantenimento e dell’educazione dei figli che le sono affidati». Gli Stati hanno quindi l’obbligo di fornire sostegno alle donne e alle coppie che non ritengono di essere in grado di accogliere un figlio. Gli Stati si sono anche impegnati a tutelare la maternità, prima e dopo la nascita. Così, per esempio, con la ratifica del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, gli Stati riconoscono che «una protezione speciale deve essere accordata alle madri per un periodo di tempo ragionevole prima e dopo il parto» (art. 10). Gli Stati hanno anche riconosciuto, tramite la Dichiarazione e con la Convenzione dei diritti del fanciullo, che «il bambino, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali, compresa una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita».

Più precisamente, gli Stati si sono impegnati a ridurre il ricorso all’aborto. A questo proposito, durante la Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo del 1994, al Cairo, i governi si sono impegnati – cito – a «ridurre il ricorso all’aborto» e a «prendere misure appropriate per aiutare le donne a evitare l’aborto». Anche l’Assemblea del Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati europei a «garantire un’assistenza concreta in aiuto delle donne che chiedono di abortire a causa di pressioni familiari o economiche» (Pace, 2008).

Le politiche di prevenzione dell’aborto devono rispondere alle cause sociali ed economiche a motivo delle quali una gravidanza viene definita “indesiderata”: immaturità affettiva, fragilità delle famiglie, precarietà economica, ristrettezza degli alloggi, difficoltà e vincoli professionali, ecc. Alla maggior parte di queste cause dovrebbero, di norma, corrispondere i diversi “diritti sociali” che gli Stati si sono impegnati a garantire. Infatti, la Carta sociale europea garantisce, in particolare, il diritto all’alloggio, la protezione della famiglia, la protezione della maternità, la protezione della vita prima della nascita e anche la conciliazione della vita familiare con quella professionale, e così via.

Quindi, mentre da una parte l’industria pro aborto continua a fare pressioni per ottenere sempre più aborti e più denaro, dall’altra parte vi è molto lavoro da fare per prevenire l’aborto e per aiutare e sostenere le donne e le famiglie. Sono, dunque, convinto che limitare l’aborto sarà vantaggioso per tutti.

Articolo già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 116 – Marzo 2023

https://www.provitaefamiglia.it/blog/opporsi-allaborto-in-europa-la-strada-da-percorrere

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