Ormai è certo: anche il Sudan vuole cancellare il Cristianesimo

Omar-al-Bashir

Omar-al-BashirAnche il Sudan non pare più esser terra per Cristiani: quanto meno questo è ciò che vorrebbero i vertici dello Stato, governo in testa. E, per raggiunger l’obiettivo, han pensato bene di attuare tutta una serie di strategie “disincentivanti”.

Innanzi tutto, la clamorosa interdizione dei cinque avvocati, che difesero Meriam Ibrahim, la moglie e madre cristiana accusata ingiustamente di apostasia, ciò per cui fu costretta, dopo infinite angherie, a lasciar casa, cari e Patria lo scorso 24 luglio, per aver salva almeno la vita. Anche i suoi legali sono stati invitati a lasciare il Paese, dopo la denuncia sporta da un loro collega, Imam Hassan, denuncia in cui li ritiene responsabili d’aver offuscato l’immagine nazionale e consentito «alle organizzazioni per i diritti umani di esercitare pressioni sui vertici». Per questo, Hassan ha chiesto che venissero revocate le loro licenze, in quanto imputati d’aver sostenuto i diritti dei Cristiani – pur non essendo loro tali – e delle altre minoranze della Nazione. Nazione, che loro han dichiarato di non aver alcuna intenzione di abbandonare, pur essendo stati richiesti di spiegazioni in merito alle accuse formulate, da fornirsi peraltro in tempi assolutamente ristretti.

In Sudan molti, nelle alte sfere, considerano i Cristiani come cittadini di serie B. IlCentro Studi Africano per la Giustizia e per la Pace, gruppo per i diritti sudanesi con sede a Kampala in Uganda, ha riferito della violenza compiuta il 22 giugno scorso ad Omdurman da alcuni agenti di Polizia ai danni di una donna di etnia Nuba e fede cristiana, nella cella ove si trovava detenuta: era stata arrestata per «disturbo della quiete pubblica»assieme ad un’altra quarantina di ospiti, pure cristiani – tra cui 14 adolescenti -, nel corso di un ricevimento nuziale. 34 di loro sono stati rilasciati all’indomani su cauzione: il che, secondo quanto da loro stessi dichiarato, non li ha risparmiati da percosse, offese razziste e minacce. La vittima faceva parte delle sei persone trattenute in carcere.

Ma il quotidiano Morning Star News ha dato notizia per la prima volta lo scorso 20 settembre di un fatto accaduto il 6 luglio scorso e rimasto finora sconosciuto. La forza aerea della Repubblica del Sudan ha bombardato e gravemente danneggiato la Church of Christ di Sabat, nella contea di Dalami, sui Monti Nuba, nello Stato di Kordofan del Sud. Tale tempio episcopale era stato già ricostruito, dopo esser stato distrutto da un altro bombardamento compiuto dal regime di Khartum nel 1989. L’esercito si è detto «dispiaciuto» dell’accaduto, ma pare proprio che il governo stia, in realtà, conducendo, nell’indifferenza generale, un’opera di devastazione metodica, per costringere civili e istituzioni cristiani a rifugiarsi sui Monti Nuba, dove ormai in migliaia tentano di proteggersi da abusi e angherie commessi ai loro danni. L’obiettivo ultimo è probabilmente quello di eliminare dalla regione qualsiasi traccia di Cristianesimo.

Del resto, lo stesso Presidente sudanese, Omar al-Bashir (nella foto), dopo il referendum del 2011 che ha decretato l’indipendenza del Sud Sudan, ha dichiarato espressamente di voler aderire in modo ancor più esclusivo all’islam ed alla cultura araba. Un messaggio sibillino, che spiega però molte cose. Anche se non rappresenta una novità per nessuno: si tratta di una jihad in piena regola, quella iniziata da molto tempo, con tanto di emarginazioni, oppressioni e conversioni forzate all’islam sin dal 1990. Secondo un dettagliato rapporto, dall’aprile 2012 ad oggi sarebbero già state sganciate 1.929 bombe dalle forze aeree sudanesi: di queste, ben 756 quelle fatte cadere dal settembre scorso. Gli ordigni hanno ucciso e mutilato centinaia di civili.

Prosegue così l’epurazione sistematica che l’islam sta conducendo contro qualsiasi presenza cristiana, ovunque ciò venga consentito, tacitamente o esplicitamente.

Tratto da: http://www.nocristianofobia.org/

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook