Per la Riforma dell’intera società

Christoph20SigristAttualità del Riformatore di Zurigo Ulrich Zwingli

Christoph Sigrist (52) è ambasciatore dell’anniversario della Riforma a Zurigo ed è pastore del Grossmünster, il luogo d’azione del riformatore Huldrych Zwingli. Sigrist è convinto che il pensiero di Zwingli sia ancora estremamente attuale. L’anniversario della Riforma del 2019 costituisce un’occasione per richiamare alla mente il Riformatore e la sua opera.

Oggi nella città di Zurigo i riformati sono una minoranza. C’è ugualmente motivo di celebrare?
Sì, certo. La Chiesa è un pilastro importante della società e svolge un lavoro prezioso. In una società caratterizzata da un forte individualismo, il rapporto con le istituzioni è difficile. Oggi molte persone non accettano più una fede precostituita, tuttavia tanta gente continua a ricercare forme di spiritualità e legami religiosi. Ogni giorno il Grossmünster di Zurigo è visitato da quasi tremila persone. Molte di loro sono protestanti, ma tra i visitatori ci sono anche cattolici, ortodossi, ebrei, buddisti e musulmani per i quali la chiesa è un santuario invitante. La chiesa come luogo sacro continua a essere un centro d’attrazione. Anche questo costituisce un motivo per celebrare.

Ma lei è certo che nel 2019 debba essere celebrato un uomo come Zwingli, nemico delle passioni e del sentimento?
Questo non è assolutamente vero, è uno stereotipo duro a morire. Zwingli era una persona che sapeva apprezzare il piacere. A Einsiedeln, quando ancora era prete, ebbe una relazione con la figlia del barbiere. Come confessò prima della sua nomina al Grossmünster, fu una passione “più forte di lui”. Successivamente a Zurigo si innamorò di Anna Reinhard, la figlia dell’oste del “Rössli”, la quale più tardi divenne sua moglie.

Quale sarà secondo lei l’evento principale in occasione delle celebrazioni del 2019?
Il fatto che a 500 anni dalla Riforma richiameremo alla mente lo spirito di Zwingli. Egli ebbe il coraggio di farla finita con idee antiquate. Dovremmo farlo anche noi oggi. Essere riformati significa anche rendere possibili nuove forme del credere, essere innovativi e sostenibili. Il mondo cambia e noi dobbiamo reagire. Le celebrazioni offrono l’occasione di ricordare quale siano i valori della Chiesa riformata: umanità e amore per il prossimo messo in pratica. Affinché il messaggio trovi ascolto, dobbiamo comunicarlo in maniera tale che le persone lo comprendano. Come ambasciatore della Riforma intendo risvegliare l’entusiasmo per la Riforma che ha rappresentato anche un punto di svolta nella storia e ha avuto ampie conseguenze di politica sociale. La Riforma ha per esempio posto le basi per il nostro attuale Stato sociale.

Che importanza ha per lei il contributo del riformatore Zwingli?
Non fu soltanto un teologo di notevole statura, ma anche un politico e un diplomatico. Zwingli sapeva che avrebbe potuto rinnovare la Chiesa di Zurigo soltanto se fosse riuscito a ottenere l’appoggio della maggioranza dei cittadini. In questo gli tornò utile la sua capacità di non perdersi nei dettagli e riuscire a sintetizzare in poche parole il suo pensiero, cosa che riusciva a fare anche nelle prediche.

Come ottenne l’appoggio della popolazione per la riforma religiosa?
Non mise tutto a soqquadro in una volta. Da figlio di un balivo comunale di Wildhaus aveva fiducia negli strumenti dello Stato e della società. Quando le autorità di Zurigo gli dissero che aveva sì ragione a voler rinnovare la Chiesa, ma gli zurighesi non erano ancora pronti, continuò a celebrare la messa secondo il vecchio rito ancora per un anno e mezzo. Poi le autorità gli diedero il via libera per la Riforma. Si trattava, a differenza di quella di Lutero, di una Riforma cittadina approvata dalle autorità. Da teologo, Zwingli era convinto che gli strumenti della Riforma fossero l’autorità, lo Stato e la società.

Oggi c’è chi dice che la Chiesa non dovrebbe immischiarsi nella politica. Che cosa avrebbe detto Zwingli al riguardo?
Non sarebbe stato d’accordo. Per lui il Vangelo era un messaggio che riguarda tutta la società e perciò la Chiesa era anche politica. Per lui la fede dei singoli cittadini non era una cosa privata, ma aveva rilevanza pubblica. Per lui come teologo social-liberale, la fede comportava anche la responsabilità nei confronti dei più deboli della società. Lo dimostra il suo primo ordinamento per i poveri, entrato in vigore il 15 gennaio 1525. Zwingli non attese il socialismo, ma attuò il suo proprio ordine sociale.

Zwingli proibì una volta l’accattonaggio. Oggi sarebbe un membro dell’UDC?
Non penso. L’UDC prende spesso strade che non sono quelle del pensiero cristiano riformato. Prima della Riforma i mendicanti erano questuanti sottoposti alla Chiesa che li utilizzava per i suoi scopi. La tutela e la libertà delle persone avevano per Zwingli grandissima importanza. Faceva distinzione fra poveri autentici e falsi. I primi venivano assistiti, i secondi erano pigri sfaccendati destinati ai programmi occupazionali.

Zwingli accoglierebbe i profughi siriani?
Allora non c’erano profughi di altre religioni in Svizzera. Perciò Zwingli non conosceva questa situazione. Ma per lui era chiaro come il sole che coloro che si trovano nel bisogno vanno accolti. Bullinger, il successore di Zwingli, accolse profughi riformati da Lugano nella Helferei del Grossmünster. Anche oggi siamo impegnati in questo campo.

Zwingli era un montanaro del Toggenburgo. Che cosa portò a Zurigo?
La sua sensibilità per una cultura cooperativa, con cui contribuì al successo della Riforma. Ancora oggi chi sale sul Selun può notare ciò che lo plasmò: la cooperazione democratica praticata nelle cooperative alpine. Fu inoltre segnato dalla cultura musicale del Toggenburgo. Zwingli era molto musicale, componeva e suonava il salterio e altri strumenti. Il suo inno più noto, “Herr, nun selbst den Wagen halt!”, è presente ancora oggi nell’innario riformato. Dobbiamo molto alla cultura dell’Alpstein. Perciò dovremmo anche dimostrarle la stima che merita.

Lei stesso è stato pastore a Stein, nel Toggenburgo. È possibile incontrare ancora oggi lo spirito di Zwingli da quelle parti?
Sì. Nel Toggenburgo non si spendono paroloni sulla fede. C’è una fede primordiale in Dio e c’è la fiducia che tutto andrà bene. È la fiducia che Zwingli esprime ad esempio nel poema Pestlied (“Inno alla peste”).

C’è una qualità di Zwingli che le piacerebbe possedere?
Apprezzo il suo lato umile e musicale. Con i suoi compagni lavorò per sei anni alla traduzione della Bibbia. Tuttavia nell’introduzione non fa menzione di sé stesso. Sapeva che forse altri avrebbero potuto fare ancora meglio. (Intervista a cura di Philippe Welti; da reformiert.; trad. it. G. M. Schmitt)

Voceevangelica.ch

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