Prendersi cura con un cuore da servitore

Lo leggi in 6 minuti.

David Cranston riflette sulle richieste che ci arrivano dalla famiglia, dal lavoro e dai nostri pazienti.

Punti chiave:

  • Ci sono molti fattori che possono impedirci di prenderci cura dei nostri pazienti
  • Per un cristiano, la vera sfida è prendersi cura degli altri come Cristo si prende cura di noi
  • Se mettiamo al primo posto il servizio per il Regno di Dio, tutto il resto troverà il proprio posto.

Da bambini ci viene spesso chiesto cosa vogliamo fare da grandi. Ai colloqui di lavoro probabilmente abbiamo tutti dato la classica risposta – che vogliamo prenderci cura delle persone. Eppure è facile vedere che con il tempo questi ideali cadono e il lavoro diventa solo un mezzo per giungere a un obiettivo: supportare le nostre famiglie, guadagnare abbastanza da non sentirci inferiori ai nostri vicini di casa, o acquistare una determinata macchina. Ci sono poi diversi fattori che possono portarci ad avere meno tempo da dedicare alla cura dei nostri pazienti: meno ore di lavoro, obiettivi da raggiungere, tagli dei costi. Non che tutto questo sia per forza sbagliato. Alcuni di questi fattori potrebbero anche portare dei benefici. Ma il nostro atteggiamento nei confronti di queste cose metterà in luce se noi ci prendiamo cura degli altri come Cristo si prende cura di noi.

In che modo il nostro atteggiamento nei confronti del lavoro rispecchia il nostro atteggiamento nel prenderci cura delle persone?

Il Professor Harold Ellis, ex professore di chirurgia all’ Ospedale di Westminster, una volta pubblicò un annuncio di lavoro presso il suo dipartimento che recitava: “Si astengano dal candidarsi scansafatiche, perditempo e fannulloni, per i quali ci sono già tantissimi lavori in giro”. Inutile dirlo, ma anche 40 anni fa il personale medico non permise una cosa simile. Ellis era un insegnante eccezionale, che concedeva ai suoi uno o due giorni di ferie ogni sei mesi, se erano fortunati.  La sua filosofia era “prima il bisturi, poi la moglie”.

Dobbiamo trovare un equilibrio. È come camminare su una fune, quando cerchiamo di rispondere a tutte le richieste che ci arrivano da casa, dal lavoro e dai pazienti. Un vecchio urologo irlandese una volta mi disse “Quando io ero in formazione  si parlava di vocazione, ora sembra che si parli più di vacanze”. Siamo tutti chiamati a un ministero. Quando qualcuno diceva a John Scott, un grande predicatore anglicano, di volersi dedicare a un ministero, la sua risposta era “Ne sono molto felice, ma di che ministero stai parlando? Se di quello pastorale, dimmelo subito”. Poco dopo la sua conversione, William Wilberforce disse al suo mentore John Newton che avrebbe lasciato la politica per dedicarsi al ministero religioso. Newton tuttavia lo incoraggiò a rimanere in politica, e abbiamo visto i risultati.

Paul Brand è stato per molti anni un chirurgo missionario a Vellore, in India, dove fu un pioniere della terapia della lebbra. Poco prima di morire nel 2003, disse al suo biografista Philip Yancey: “Visto il luogo dove ho lavorato come medico per molti anni, non ho mai fatto tanti soldi. Ma ti dirò, se guardo indietro e penso alla mia vita in chirurgia e ai pazienti che poi sono diventati amici, tutto questo mi da più gioia di qualunque benessere economico. Ho incontrato queste persone per la prima volta mentre erano spaventate e addolorate. Come loro medico, ho condiviso i loro dolori. Ma ora che sono vecchio, sono il loro amore e la loro gratitudine che illuminano il mio cammino”.

Riesci a scalare con un cuore da servitore?

Dio non ci ha creati per muoverci nel mare lasciandoci trasportare dalle correnti, come il plancton. È giusto avere delle ambizioni. Tutti abbiamo bisogno di obiettivi a cui puntare. Ma quali sono le nostre ambizioni primarie? Nel Vangelo di Matteo, Gesù ci dice “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più” (Matteo 6:33). Se questa è la nostra ambizione primaria, tutte le altre troveranno il loro posto. Potrebbero essere un bel lavoro, un bell’ufficio o forse molti soldi. Ma potrebbero anche essere uno studio medico in qualche posto isolato qui o all’estero, o anche lavorare con i più bisognosi, l’importante è sapere sempre che siamo nel posto in cui Dio ci vuole. Se arriviamo in cima ad un albero, dobbiamo ricordarci che i metodi utilizzati per arrivare fino a lì saranno gli stessi che ci permetteranno di rimanerci, siano essi onesti o disonesti, trasparenti o subdoli.

Come possiamo guidare gli altri con un cuore da servitori?

Non capita spesso di vedere dei leader che sono allo stesso tempo dei servitori, ma quando ciò accade colpisce particolarmente. All’interno del Parlamento inglese è appeso un ritratto di George Thomas (Lord Tonypandy), un ex parlamentare, con tutti i suoi ornamenti e armi sottobraccio, sormontato dalla corona britannica. Ma nello stesso quadro sono ritratti anche una lampada da minatore e, nella parte inferiore, una Bibbia aperta. Il suo motto era “se vuoi essere un leader, devi essere un ponte”.

Ambroise Paré è nato nel 1510, ed è considerato uno dei padri della moderna chirurgia. Fu il chirurgo reale di ben quattro re francesi in successione: Enrico II, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III. Anche i soldati che al giorno d’oggi riportano ferite da guerra in Iraq o Afghanistan dovrebbero ringraziarlo in quanto fu uno dei primi a sviluppare tecniche mediche e chirurgiche da campo di guerra. Paré fece due grandi servizi per la medicina e quindi per tutti i malati. Primo, dimostrò che non è necessario cauterizzare le ferite con olio bollente. Un giorno, avendo finito l’olio a disposizione, utilizzò per i pazienti successivi una ricetta a base di tuorlo d’uovo, olio di rose e trementina. Così Paré scoprì che i soldati trattati con l’olio bollente erano agonizzanti, mentre quelli trattati con il suo unguento guarivano grazie alle proprietà antisettiche della trementina. In secondo luogo, sostituì il ferro rovente che veniva utilizzato nelle legature per controllare il sanguinamento durante le amputazioni. Grazie a queste due scoperte, basate su un’attenta osservazione clinica, riuscì a salvare migliaia di soldati feriti risparmiando loro le torture che dovevano sopportare precedentemente.

Alcuni chirurghi hanno la reputazione di essere arroganti. E in un mondo di arroganti, c’è molto da imparare da Ambroise Paré e la sua vicinanza a Dio. La sua citazione più famosa è “Je le pansai, Dieu le guerit”, ossia “Io l’ho medicato, ma Dio l’ha guarito”. Mi chiedo (e rivolgo anche a me stesso la domanda) quando sia stata l’ultima volta che hai pulito un sedere sporco che non fosse di un neonato, o aiutato un paziente a salire o scendere dalla carrozzina, o preso uno strofinaccio e pulito il sangue dal pavimento della sala operatoria, o fatto una tazza di caffè per un dipendente del tuo reparto, o aiutato un paziente a vestirsi – o sono forse tutti lavori che spettano a qualcun altro?

Come si può ascoltare con un cuore da servitore?

Abbiamo tempo per prestare ascolto? Forse abbiamo solo il tempo di ascoltare i problemi dei pazienti e raccogliere l’anamnesi. E se provassimo ad ascoltarli come persone? Ippocrate diceva “È più importante sapere che tipo di persona ha una determinata malattia, che non sapere che tipo di malattia ha una determinata persona”.

Le persone sono una storia vivente. Anni fa ricordo di aver visto un uomo di 93 anni all’Ospedale John Radcliffe; un omino fragile e cateterizzato. Era un semplice vecchietto che avrebbe tratto dei benefici da un intervento alla prostata? O si trattava di un uomo nato lo stesso anno della Regina Madre, che all’età di 16 anni venne messo su una nave da battaglia inglese e vide arrivare i tedeschi da lontano all’inizio della Battaglia dello Jutland?

A meno che tu non sia particolarmente fortunato, se incontri la Regina sai che durerà poco tempo. Tuttavia puoi stare certo che la Regina non starà usando il cellulare, o guardando in giro se per caso c’è qualcuno di più interessante con cui parlare: per quel breve lasso di tempo, avrai la sua completa attenzione e sarà qualcosa che ti ricorderai per tutta la vita. Impariamo a trattare così i nostri pazienti.

Come faccio a parlare con un cuore da servitore?

La comunicazione include sia l’ascoltare che il parlare. La maggior parte dei contenziosi medico legali derivano proprio da una mancanza di comunicazione. Dobbiamo essere cortesi e rispettosi, quando parliamo di Cristo con i nostri pazienti. Ma si può provare anche a lanciare qualche messaggio nella conversazione, come un pescatore lancia l’esca a un pesce, per vedere se questo viene a galla a prenderla.

Il Professor John Blandy, dell’Ospedale di Londra, scrisse queste parole in uno dei suoi libri di chirurgia: “Mitiga il vento per l’agnello tosato. Diluisci la tua franchezza con della dolcezza, e ogni volta che ti è possibile dai speranza.”. Come dice un vecchio aforisma, il ruolo del medico è di “guarire qualche volta, curare spesso, confortare sempre”.

David Cranston è un urologo a Oxford. Questo articolo è basato su una presentazione che fece ad una conferenza del CMF a Novembre 2012.

Link all’articolo originale: https://www.cmf.org.uk/resources/publications/content/?context=article&id=26029

Anche su: Progettoamico.info

Traduzione a cura di Giulia Dallagiacoma

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