
Risale alla fine del mese scorso l’annuncio del presidente al-Sharaa del nuovo governo ad interim composto da 23 ministri. Dovrebbe restare in carica cinque anni e traghettare il Paese verso la nuova Costituzione e le prime elezioni politiche post-Assad.
Com’era prevedibile la maggioranza dei ministri (in particolare quelli nelle “posizioni-chiave”) appartiene alla comunità sunnita. In buona parte sono ex membri del “governo di salvezza” di Idlib (2011-2024). Come Asaad al-Shaibani ( nuovamente a capo della diplomazia) e Mourhaf Abou Qasra (confermato alla Difesa).
Ad un altro ex jihadista, Anas Khattab (già dirigente dell’Intelligence a Idlib), è stato affidato il ministero degli Interni mentre Mouzhar al-Waiss dovrà occuparsi della Giustizia. In sostituzione di Shadi Mohammad al-Waisi, allontanato dopo la diffusione di alcuni video in cui presenziava all’esecuzione di due donne accusate di prostituzione a Idlib.
Tra gli appartenenti alle minoranze, l’alawita Yarub Badr (ministro dei Trasporti) e il druso Amgad Badr (dicastero dell’Agricoltura).
Oltre alla cristiana cattolica Hind Kabawat (Lavoro e Affari sociali) che in un’intervista ha detto di ispirarsi al pensiero e all’opera del gesuita padre Paolo dall’Oglio, ai suoi ideali di “giustizia, inclusione e diversità”.
Tuttavia, il nuovo governo è stato comunque messo in discussione – diciamo pure “bocciato” – dai curdi per una “evidente mancanza di reale coinvolgimento delle minoranze”.
Intanto nel nord-est siriano, il 2 aprile il comandante delle SDF (Forze Democratiche Siriane) Mazloum Abdi ha ricevuto sua Eminenza il vescovo aggiunto Levon Yeghiayan, pastore dell’Arcidiocesi Ortodossa Armena di Al Jazeera e una delegazione della comunità armena.
Gianni Sartori
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