Ricordarci dei poveri significa non escludere

Sempre più persone si trovano sospinte verso la “soglia di povertà”, ma la novità più preoccupante è che si tenda a negare l’esistenza di chi vive nell’indigenza, con rischi sociali via via più elevati

«I poveri li avete sempre con voi, ma me, non mi avete sempre». Sono parole di Gesù. Attribuitegli dall’evangelista Giovanni e pronunciate, pare, in una periferia. La storia, conosciutissima, è presto raccontata: una donna offre un’intera bottiglia di olio profumato, costosissimo, a Gesù, come atto di ospitalità e affetto. Ne scaturisce una discussione sui massimi sistemi: quanto spreco, quanto eccesso. Si sarebbe potuto vendere il profumo e distribuire il ricavato ai poveri. Allora, come oggi, i massimi sistemi sono utilissimi a prendersela con qualcuno, soprattutto se debole: una donna, uno straniero, un povero. È in quell’occasione che Gesù pronuncia quelle parole dal sapore amaro, soprattutto per chi crede, o ha ingenuamente creduto, che si potesse combattere e vincere la povertà. Perché mai dovremo avere sempre i poveri con noi? Applicandoci, impegnandoci, non potremo mai sconfiggere la povertà?

A fine dello scorso novembre il Forum Diseguaglianze e Diversità ha pubblicato un report su Lavoro e Povertà, pieno di dati e analisi. Ne viene fuori un affresco dai colori accesi e torbidi al tempo, che comunque conoscevamo bene: dal 1990 a oggi il lavoro salariato è sempre più precario e sempre di più non garantisce ad ampie fasce della popolazione di cacciare su la testa e liberarsi dal fango della povertà.

La “soglia” di povertà: questa è la parola spesso usata, per parlare di chi vive al di qua del confine tra ricchi e poveri. L’impressione, sempre più netta, anche guardando alle preoccupazioni espresse dal documento sul lavoro fatto proprio dalla scorso Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, è che un numero sempre maggiore di persone nel nostro Paese venga anzi spinto verso quella soglia, per finire inesorabilmente al di fuori del mondo dei diritti e delle opportunità. Si tratta in particolare dei giovani della fascia di età compresa tra i 16 e i 34 anni, delle donne, più esposte al lavoro part-time, degli abitanti del sud del Paese, dove in aggiunta è sempre più difficile avere accesso a diritti e servizi. Potremmo anzi citare altri dati e studi per affrescare altre pareti, ma il risultato sarebbe lo stesso. Il Paese vede sempre più persone scivolare verso la povertà, anche se hanno un lavoro, e sempre più le diseguaglianze acuirsi.

La novità degli ultimi anni è forse un’altra, più evidente e preoccupante: la negazione della povertà e l’esclusione di chi vive in indigenza dal consesso delle persone “normali”. Hai bisogno del reddito di cittadinanza, prontamente abolito dalla nuova classe dirigente? Perché sei un fannullone e non ti va di lavorare! Sei costretto o costretta a migrare per sopravvivere? È perché non ami il tuo Paese e vieni qui a delinquere, a minacciare il “nostro” mondo! Non riesci a far fronte al rincaro delle spese energetiche e dei carburanti? Perché non hai sensibilità ecologica: sprechi, dilapidi, non usi la bicicletta, tieni accese le luci e usi troppo il riscaldamento o il condizionatore! Sei anziano e non più autosufficiente e hai bisogno di cure, di assistenza, di un ricovero? È colpa dei tuoi famigliari, che non ti vogliono più bene e non vogliono prendersi cura di te! C’è bisogno di denaro per tagliare le tasse? Togliamolo alle carceri, tanto andrebbe sprecato in un trattamento che pur garantito dalla Costituzione, non serve a nulla: bastano le sbarre e le serrature!

Ne vien fuori un paese in cui, non essendovi più classi sociali, il conflitto si gioca tutto sull’astio tra le categorie: partite Iva contro impiegati con la tredicesima, insegnanti contro studenti e genitori, pazienti contro medici del Pronto soccorso, sindacati delle Forze dell’ordine contro magistrati giudicati permissivi. Tutti e tutte a darsi la colpa e a spingersi vicendevolmente verso quella soglia, dietro la quale vanno a finire le reiette e gli sconfitti. Nel frattempo si divaricano le distanze tra chi nasce al Sud o al Nord, aumenta la tassazione indiretta, si fa finta di non vedere che l’inflazione corre, o se ne dà la responsabilità a chi governava prima, all’Europa, ai poveri. Appunto, ai poveri!

Forse non aveva tutti i torti Gesù nel pronunciare quelle parole amare. Forse erano un monito a quanti e quante pensano sia possibile negare l’esistenza delle cose, facendo finta che i problemi non esistano. Ricordarci dei poveri, annunciare il Vangelo ai poveri, come dice lo stesso Gesù in Luca 7, 22, significa non escludere, non colpevolizzare, non criminalizzare. Far fronte alla complessità di una realtà i cui problemi vengono da lontano. E forse riscoprire il senso di gratuità e di “spreco” di quel gesto eccessivo della donna che offrì il profumo. Un gesto che include.

https://www.riforma.it/it/articolo/2022/12/09/ricordarci-dei-poveri-significa-non-escludere

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