Se i pro family parlano di scuola e parità di genere vanno imbavagliati

È stata oggetto di strali, fino all’ultimo, la conferenza dal titolo “Parità di genere a scuola. Cosa c’è oltre le apparenze” organizzata a Castelfranco di Sotto, in provincia di Pisa, in una parrocchia, sulla teoria del gender, tenuta dalla giornalista Raffella Frullone, lo scorso 20 aprile. L’invito era rivolto, in particolare, ai genitori dei bambini del catechismo. La conferenza, infatti, si è tenuta in un clima teso, dopo giorni di intolleranza, odio e attacchi verso il mondo pro life. Il perché è presto detto e lo si può spiegare facendo un piccolo passo indietro per raccontare ciò che c’è stato a monte e ha fatto scaturire questa voglia di “imbavagliare” un dibattito.

Ormai da anni all’istituto comprensivo “Da Vinci” il preside Sandro Sodini ospita vari progetti finanziati dalla Regione Toscana inerenti la parità di genere e che coinvolgono le classi elementari. Quest’anno il progetto era denominato Appp (Azioni di Parità nella Provincia di Pisa), promosso dall’omonimo ente e finanziato dalla Regione. Stavolta la mamma di un piccolo alunno ha osato esercitare il diritto di saperne di più, come ci racconta: «Il progetto era organizzato dall’associazione Frida, presentato come un corso in cui si decostruivano gli stereotipi di genere, veniva specificato che ci sarebbero stati degli specialisti ad occuparsene, senza però indicare il titolo e le competenze di questi specialisti». Indicazioni vaghe che l’hanno spinta a fare domande più specifiche alle insegnanti, a partire dall’argomento del corso, i nomi e i cognomi dei formatori e la bibliografia di riferimento. Le maestre, confessando di essere poco informate, hanno saputo dirle solo che si trattava di quattro racconti “La nonna guida il trattore” e “La principessa e il drago”, tra questi.

Dopodiché la signora è stata messa in contatto con il preside che, però, ha ripetuto la stessa solfa delle maestre. Per saperne di più, infatti, la mamma avrebbe dovuto scrivere direttamente all’associazione Frida. La signora zelantemente lo ha fatto, ma le sue domande specifiche non hanno nuovamente trovato risposta. Un gioco di rimbalzi che non ha prodotto granché, insomma. La donna, inoltre, ha specificato che solo dietro sua insistenza la scuola si è degnata di inviare il consenso informato ai genitori, molti dei quali, tuttavia, non si sono insospettiti nemmeno di fronte a questo gesto.

Tra gli aspetti della questione che più ha preoccupato la mamma, oltre alla vaghezza delle informazioni sul corso, è il ciclo continuo di incontri di questo tipo che si prevedono ancora nella sua scuola. La dicitura è sempre la “destrutturazione degli stereotipi”, ma questo argomento, come sappiamo, può essere affrontato in mille modi e non sempre ortodossi. Per questo motivo – e arriviamo al punto della questione che vogliamo spiegare nel nostro articolo – si è fatto ricorso ad un momento di formazione ad hoc, non all’interno della scuola, ma mirato ad informare correttamente famiglie e genitori.

Un evento che ha avuto come relatrice la giornalista Raffaella Frullone che ha spiegato come, documenti alla mano, spesso parità di genere, identità di genere e decostruzione degli stereotipi siano dei “termini ombrello” sotto cui si può celare qualunque cosa, anche l’ indottrinamento gender tout court. «Perché dire genere non è dire sesso?» spiega a Pro Vita & Famiglia. «In Italia – prosegue – il termine ha fatto la sua comparsa a livello istituzionale nel 2012 con il documento dal titolo “Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”. Si trattava del testo con cui l’allora ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero recepiva le linee guida europee, ovvero una “raccomandazione”, di per sé non vincolante, del Comitato dei ministri europeo del 2010. Il testo prevedeva una collaborazione tra le diverse realtà istituzionali, il terzo settore e le parti sociali per l’implementazione delle politiche di prevenzione e contrasto della discriminazione nei confronti delle persone Lgbt». Si parla di quattro ambiti di azione: istruzione, lavoro, carcere e mass media. Si fa riferimento «alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e ‘l’identità di genere, indicando una serie di azioni che avrebbero coinvolto anche il mondo della scuola».

Soprattutto, sottolinea la giornalista, «nel testo c’era un glossario in cui identità di genere e sesso biologico venivano presentate come due cose ben distinte». E la nota dolente è che lo stesso glossario con la medesima distinzione si trovi «sul sito di Indire, che è l’istituto nazionale documentazione innovazione ricerca educativa che qui in Toscana è partner di molti corsi e progetti sull’identità di genere e che presenta persino una sezione che si chiama “Gender school”».

Viene allora da chiedersi come mai tanto clamore per una conferenza che voleva dunque fornire semplicemente una visione alternativa a quella imposta a tappeto nelle scuole. Forse perché di scuola e di “differenze” possono parlarne tutti tranne che i pro family?

https://www.provitaefamiglia.it/blog/se-i-pro-family-parlano-di-scuola-e-parita-di-genere-vanno-imbavagliati

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