Se vogliamo vivere, dobbiamo morire

meditazone (1)“Fammi morire – affinché io non muoia – soltanto fammi vedere il Tuo volto”. Questa era la preghiera di Sant’Agostino.


“Non nascondermi il Tuo volto”, gridava in uno spasimo di desiderio. “Oh! Possa io riposare in Te. Oh! Possa tu entrare nel mio cuore e inebriarlo, che io non mi dimentichi dei miei mali, e abbracciare Te, mio unico bene”.

Questa brama di morire, di far uscire di scena questa opaca figura perché non ci nasconda l’amabile volto di Dio, è qualcosa che è subito compreso dal credente che ha un cuore affamato. Morire per non morire! Non è una contraddizione, poiché noi abbiamo davanti due tipi di morte, una morte che va cercata e una da evitare a qualunque costo.

Per Agostino vedere Dio interiormente era la vita, mentre non poterlo fare equivaleva alla morte. Esistere in un eclissi totale sotto l’ombra della natura senza realizzare la Sua Presenza era una condizione che non poteva essere tollerata. Qualunque cosa gli celasse il volto di Dio doveva essere tolta di mezzo, perfino il suo amor proprio, il suo più caro ego, i suoi tesori più cari. Così pregava “Fammi morire”.
La preghiera audace del gran santo fu ascoltata e, come ci si poteva aspettare, fu esaudita con l’immensa generosità caratteristica di Dio. Morì di quella morte di cui Paolo testimoniava: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Galati 2:20). La sua vita e il suo ministero continuarono e la sua presenza lì, nei suoi libri, nella Chiesa, lui è stranamente trasparente; la personalità è visibile a stento, mentre la luce di Cristo risplende di una specie di splendore salutare.

C’è stato chi ha pensato che per togliersi di mezzo fosse necessario ritirarsi dalla società; perciò hanno rinnegato tutte le relazioni umane naturali e se ne sono andati nel deserto o sulle montagne o un una cella di qualche eremo a digiunare e lavorare e lottare per mortificare la carne. Se da un lato la loro motivazione era buona, è impossibile raccomandare il loro metodo. E’ del tutto brutale arrivare a uccidersi facendo violenza al corpo o riducendo all’osso gli effetti. Bisogna arrendersi a nient’altro che alla croce.

Nel cuore di ogni cristiano c’è una croce e un trono, e il cristiano è sul trono fintantoché si mette in croce; se rifiuta la croce, rimane sul trono. Forse questo è alla base dello sviamento e della mondanità che c’è fra i credenti evangelici di oggi. Vogliono essere salvati ma insistiamo sul fatto che è Cristo che deve soffrire ogni agonia. Non vogliamo la croce per noi, né essere detronizzati, tanto meno morire. Restiamo all’interno del nostro piccolo regno dell’anima umana e indossiamo la nostra corona sgargiante con tutta la fierezza di un Cesare, però così condanniamo noi stessi alle ombre e alla debolezza e alla sterilità spirituale.

Se non vogliamo morire ora dovremo morire poi, e quella morte significherà la perdita di tanti di quei tesori eterni che i santi hanno curato teneramente: il nostro somigliare a Cristo nel carattere, il discernimento spirituale, la nostra fruttuosità; e più di tutte queste cose, essa ci celerà la visione del volto di Dio, quella visione che è stata la luce della terra e sarà la pienezza del cielo.

A.W.Toser

Francesco La Manna | Notizievangelcihe.com
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