Storia: Costantino oggi. Oltre l’epoca costantiniana

 Non cedere alla tentazione di celebrare un ambiguo passato, ma cogliere l’occasione per costruire un futuro condiviso, a oggi ancora incerto (Paolo Naso e Brunetto Salvarani). Sembrebbe facile approfittare di una ricorrenza largamente annunciata come i 1700 anni che ci separano dal cosiddetto Editto di Milano, per eleggere Costantino I il Grande a campione ante litteram della libertà religiosa e, forzando tempi e linguaggi, della laicità dello Stato e del pluralismo religioso. Strano campione della libertà religiosa
Molti elementi autorizzano ad andare in questa direzione: l’Editto in questione concedeva a tutti, entro i confini dell’Impero romano, piena apertura a uno o l’altro credo religioso, senza intromissioni dall’alto. Si noti: la Chiesa ortodossa, a braccetto con alcune Chiese cattoliche di rito orientale, considera Costantino tradizionalmente santo e addirittura simile agli apostoli (isapostolos), sulla linea di quella divinizzazione dell’imperatore che costituirà, come noto, una caratteristica precipua del sistema orientale dell’Impero.
In realtà, se l’Editto diverrà il simbolo di una svolta decisiva per la storia dell’Europa, l’atteggiamento di Costantino verso il cristianesimo pare sia stato piuttosto complesso, se non ambiguo. Da qui le tante leggende sorte nei secoli (come quella della donazione dell’Europa occidentale al Papa, smontata inequivocabilmente nel Quattrocento dal filologo umanista Lorenzo Valla) e i problemi mai sopiti sulle relazioni tra potere politico e fede religiosa. Da qui, ancora, la reazione preoccupata di personalità quali il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, rav Riccardo Di Segni, che di fronte alle celebrazioni già avviate, ha affermato risolutamente: “La conversione dell’imperatore al cristianesimo non è affatto l’inizio della tolleranza religiosa, anzi è da lì che hanno preso il via le persecuzioni inflitte alle altre religioni”.

Persecuzione dei non cristiani
“Da quell’infausta data in poi”, prosegue Di Segni, “tutti i non cristiani iniziarono a essere perseguitati. Perciò costituisce palesemente una truffa fornirne un’interpretazione in termini positivi e addirittura esaltarla come un passo in avanti per l’umanità”. Fino a parlare di finta pacificazione, e a tacciare l’evento come un’operazione culturale che strumentalizza coscientemente “un remoto passato per diffondere nell’odierna società globalizzata modelli inquietanti di predominio religioso che ostacolano la pacifica convivenza tra i credenti”.
E non è tutto. Il priore di Bose Enzo Bianchi, in una lezione magistrale in occasione dell’edizione 2012 di Torino Spiritualità, ha ammesso che l’Editto promulgato da Costantino, se convertì il cristianesimo da superstitio a religio lecita, rappresentò un passo decisivo verso la progressiva cristianizzazione dell’Impero, che rese impossibile il martirio e annacquò il messaggio evangelico. Tanto che santi monaci come Antonio del deserto e Pacomio comunicarono la loro protesta al riguardo attraverso la loro scelta di vita radicale: fecero del deserto una città, perché nell’accomodarsi nel mondo da parte della Chiesa istituzionale scorsero un indizio chiaro dello smarrimento dell’autentica sequela cristiana.

Attenzione agli anacronismi
La partita, pertanto, non è così chiara da giocare, e i materiali andrebbero utilizzati con una certa delicatezza evitando attualizzazioni forzate, anacronistiche e storiograficamente opinabili. Lasciamo quindi che gli storici facciano il loro mestiere e, ripensando all’anniversario […], limitiamoci a ricavarne qualche suggestione pensando all’Italia di oggi e al nodo culturale e politico del rapporto tra lo Stato e le presenze religiose. Al riguardo, il dibattito degli ultimi anni ci consegna tre temi di sicuro interesse per le istituzioni e per i credenti delle diverse fedi, ma anche per chi non crede o crede in termini non convenzionali.

Fine del regime di cristianità
Il primo: è definitivamente tramontato, in Italia e in Europa, quel regime di cristianità che un certo costantinianesimo ha contribuito a fondare. Il sogno di un’Europa cristiana dall’Atlantico agli Urali e dalla Scandinavia al Mediterraneo – così caro, fra gli altri, a Giovanni Paolo II – è svanito prima ancora di precisarsi. Qualcuno obietterà che in realtà è svanito il sogno europeo tout court: non si tratta di una considerazione sbagliata. Tuttavia è pur vero che non è mai decollata l’idea che l’Europa potesse trovare il suo tessuto connettivo nelle famose radici cristiane che, impossibili da negare, si sono peraltro intrecciate con quelle di altre fedi e altre culture, non ultime quelle di un pensiero ateo senza il quale è difficile immaginare e comprendere intere fasi della modernità.
L’idea di Europa non si può certo ridurre alle fredde tecnocrazie delle istituzioni di Bruxelles, ma va ricondotta a una visione d’insieme centrata sulla pace, i diritti umani, la laicità, la libertà di espressione, l’emancipazione delle donne, l’uguaglianza di fronte alla legge prescindendo dal censo, dal genere e dall’identità religiosa. Valori fondamentali, si afferma solitamente, che però talvolta furono riconosciuti e conseguiti persino contro quei regimi di cristianità che invece difendevano l’ancien régime, insieme a religioni di Stato identificate e appiattite su poteri che pretendevano di ricavare la loro legittimità direttamente dalla volontà di Dio. Quel disincanto dal sacro che poi ha trasformato l’Europa nel continente più secolarizzato del pianeta trova molte cause nell’istituzionalizzazione del cristianesimo in forme politiche fatalmente passeggere: finiti i regimi di cristianità degli Stati confessionali, il cristianesimo nelle sue varie espressioni si è ritrovato fragile quanto esposto ai venti della secolarizzazione di società di fatto postcristiane. Altrove – caso tipico di studio, gli Stati Uniti – le cose sono andate diversamente: la rigida separazione tra lo Stato e le confessioni religiose prescritta dal primo emendamento della Costituzione ha determinato un mercato religioso aperto in cui differenti comunità di fede si sono confrontate e misurate, ciascuna dando il meglio di sé e cercando di rispondere alle variegate domande spirituali che emergevano tanto dal popolo dei credenti quanto da coloro che invece guardano alla fede con distacco e scetticismo.

Oltre la secolarizzazione
Secondo elemento di riflessione: la secolarizzazione europea sembra giunta al suo apice e, come notano parecchi studiosi delle tendenze religiose, oggi anche nel vecchio continente si dovrebbe parlare di postsecolarizzazione.
Attenzione, però: non è un ritorno al passato rassicurante dei campanili e delle affollate feste patronali. Pensarlo, sarebbe un’altra pericolosa illusione. La post-secolarizzazione apre uno scenario del tutto inedito caratterizzato da molteplici elementi, per giunta non sempre coerenti tra loro: il primo è che se è vero che i temi religiosi tornano a interrogare tanti, tutto ciò non si traduce affatto in chiese più gremite e seminari più affollati. L’esperienza della fede, cioè, torna a interessare e persino ad affascinare – alla radio si legge integralmente la Bibbia, in non poche città si svolgono affollati festival delle religioni o della spiritualità, alcuni teologi vendono libri al ritmo di best seller – ma non a impegnare, almeno nella direzione di un’adesione cosciente e matura a una proposta confessionale. Verrebbe da dire che la postsecolarizzazione è anche post-confessionale, nel senso che, come ad esempio accadeva nel Regno Unito già decenni fa, si crede senza appartenere (G. Davie): l’esperienza della fede o della ricerca della fede, in altri termini, non coincide necessariamente con un atto formale di adesione o una prassi coerente. Spesso è una traccia esile che può condurre a una meta, ma non di rado si risolve in un continuo pellegrinaggio alla ricerca, più che di Dio, di sé stessi.
Una caratteristica di simili percorsi spirituali è che non sono né lineari né esclusivi: un tratto originale dell’era post-secolare è l’ammissione di scelte multiple, per cui si prega con la lectio divina e si fa meditazione trascendentale, si pratica yoga e ci si reca a Pietralcina, si guarda l’oroscopo e si leggono i libri del cardinal Martini. Attrezzate a un combattimento non particolarmente vittorioso contro la secolarizzazione, le Chiese europee risultano ancora impreparate al confronto con l’era post-secolare, ritenendo forse che il vento stia tornando a soffiare sulle loro vele. Non è così, ci dicono studi e previsioni sociali, e sarebbe tempo di mettersi umilmente a ragionare su questi panorami.

Il “caso” italiano
La terza considerazione riguarda soprattutto l’Italia, il Paese europeo che per evidenti ragioni storiche (e politiche) vive più direttamente il rapporto con i vertici mondiali della cattolicità. Come affronta tali novità, come si colloca in tali scenari? L’impressione è quella della confusione dei lavori in corso, di quel cantiere senza progetto di cui abbiamo scritto di recente [Paolo Naso e Brunetto Salvarani, a cura di, Un cantiere senza progetto. L’Italia delle religioni. Rapporto 2012, EMI 2012, ndr.], in cui si è intuito che bisogna intervenire in qualche modo, ma non si sa bene come e secondo quali direttive. L’Italia sembra sospesa tra il passato confessionalista di un rapporto stretto e organico tra la Chiesa cattolica e i centri del potere politico e un futuro che va inesorabilmente verso una laicità delle istituzioni che tuteli il nuovo pluralismo religioso: nuovo perché evidentemente diverso da quello storico costituito dalle presenze ebraiche, valdesi, ortodosse e luterane, determinato in larga misura (ma non esclusivamente) dai flussi migratori.
In tale schema non è chiaro il quadro del presente. In pochi mesi lo stesso Parlamento che per anni aveva bloccato le Intese con alcune confessioni religiose (mormoni, apostolici e ortodossi), le ha varate con un’ampia maggioranza; pare siano in dirittura d’arrivo quelle con hinduisti, buddhisti e testimoni di Geova [la Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati ha nel frattempo approvato le intese stipulate con l’Unione buddhista italiana e con l’Unione induista italiana Sanatana Dharma Samgha; non è ancora approvata invece l’intesa con i Testimoni di Geova, ndr.]. Tre o addirittura sei Intese in pochi mesi rappresentano una novità politica e culturale di assoluto rilievo. Che lettura darne? Effetti collaterali di un Governo tecnico più libero dai veti di alcuni partiti contrari a queste aperture? Un piccolo spiraglio di modernizzazione nel senso del pluralismo religioso destinato a chiudersi nel giro di qualche mese? O una nuova cultura della libertà religiosa e quindi del pluralismo confessionale che va maturando anche in Italiai? E se questa fosse la risposta, qual è la valutazione della Chiesa cattolica? […]
In ogni caso, discutere di questi temi sarebbe un modo interessante per onorare sul serio i 1700 anni dell’Editto. Non per celebrare un ambiguo passato, bensì per costruire un futuro condiviso, a oggi ancora incerto.

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