Viviamo nell’era globale ma la concezione della donna rimane primitiva

La violenza sulle donne è stata definita dall’ONU “un flagello mondiale” a  causa della sua diffusione in tutti i Paesi, compresa l’Italia. Gli aggressori appartengono a tutte le classi compiono abusi fisici e sessuali su soggetti adulti e su minori, sul lavoro e in famiglia.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne il 17 dicembre 1999 attraverso la risoluzione 54/134, in cui è precisato che s’intende per violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia avvenga nella vita pubblica sia in quella privata”.  fonte Wikipedia ) La data celebrativa  venne ufficializzata  in seguito all’efferato plurifemminicidio del 25 novembre 1960, accaduto nella Repubblica Dominicana, per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Tre attiviste politiche. le sorelle Mirabal Patria, Minerva e Maria Teresa,  mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.

La violenza contro il genere femminile deriva da comportamenti sessisti nei confronti  del genere femminile. Gli atteggiamenti negativi e irrispettosi trovano fondamenti in bieche  convinzioni secondo cui le donne e le ragazze: non sono brave come uomini e ragazzi e non meritano le stesse opportunità o il trattamento di uomini e ragazzi;  non dovrebbero espletare lavori o sport particolari, solo perché  donne e ragazze. Queste aberranti opinioni non trovano riscontro in soli uomini (sempre meno) ma anche donne mature, di mentalità ataviche, e di scarse conoscenze culturali.   Nonostante le campagne, i cortei, le fiaccolate e i vari interventi di scrittori, politici, artisti e movimenti  studenteschi, la scia di abusi e di sangue non ha arrestato il suo corso e migliaia di altre donne sono state brutalmente perseguitate, aggredite, brutalizzate e uccise.  Non si vuol incolpare l’uomo, inteso come maschio patriarcale e neppure addossare colpe degli abusi fisici, psicologici e spirituali alle istituzioni governative e legislative benché per troppi decenni pur dimostrandosi mortificati per le vittime, l’assunzione di misure preventive o il legiferare normative drastiche per l’eliminazione della violenza contro le donne trova scarsa collocazione sebbene negli ultimi quattro anni si sia verificato massacro di circa 600 femminicidi, ossia una donna ogni due giorni, (dati ISTAT).

La tragedia barbarica sta raggiungendo dimensioni esponenziali, non solo nell’aggressione fisica ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, violenze e persecuzioni di vario genere, fino a sfociare nella forma estrema e drammatica del femminicidio; un inarrestabile fiume di sangue che deve smettere di seminare morte e dolore e l’unico modo, oltre all’inasprimento delle pene consiste nel prevenire la violenza contro le donne.  Noi donne e madri abbiamo l’obbligo di rendere sensibilmente attenti i nostri figli al rispetto della vita non solo delle donne ma di ogni essere vivente. Fra i nostri compiti vi è quello di insegnare ai bambini sin dai primi anni di vita, il rispetto e l’uguaglianza; forse possono apparire argomenti difficili da inculcare ai nostri figli, ma comprenderanno nella loro ingenuità quanto sia necessariamente giusto applicare principi nobili. Sempre sotto lo sguardo vigile genitoriale, possiamo allenare i nostri figli organizzando una “palestra pratica” verbale e visiva, ossia una guida permanente realizzata dalle normative umane, dagli schemi famigliari e dalle discipline scolastiche: in poche parole l’addestramento ex-equo. Guardiamo in faccia la realtà e prendiamo coscienza che ogni vittima di qualsiasi età, nazionalità o sesso fa parte di noi stessi, anche se non è madre, sorella, zia o nonna; ognuna di loro potrebbe essere amica, vicina di casa o compagna di scuola.   Tutta la società è responsabile e tutti gli esseri umani devono rispondere all’appello, nessuno può esimersi dall’impegno; arrendendosi alla resa incondizionata di una società malata e marcia.  La diffusione di valori alternativi può rompere il cerchio della violenza, si formeranno uomini politicamente maturi, adatti a una nuova visione culturale e impegnati a trasformare coerentemente le strutture tramite adeguati progetti, affinché nessun nostro simile si trasformi e possa diventare un carnefice.

L’educazione alla nonviolenza (o al rifiuto della violenza) consiste nell’equipaggiare ogni persona di una «idoneità» a scoprire la disumanità della violenza e a concepire risposte alla stessa violenza, in strategie mansuete. L’addestramento collaborativo e di condivisione, l’interessamento abitudinario all’ascolto empatico e rispettoso iniziati sin dalla tenera età, favoriscono la progressione di accoglienza  amichevole, prevenendo fenomeni di discriminazione ed esclusione, favorendo la capacità di coesistere in relazioni in cui il proprio ego non si esprime nel dominio egemonico sull’altro. Una delle aree più significative è certamente la scuola. In essa si manifestano i contrasti presenti nella nostra società. Ai tradizionali conflitti tra insegnanti e alunni, insegnanti e genitori, si aggiungono oggi i conflitti di classe, tipici di una collettività che non ha ancora risolto il dilemma della disparità di potere, di avere, di sapere. Molto spesso si creano confronti che si tramutano facilmente in contrapposizioni violente, tra minoranze rissose o tra maggioranze indifferenti e minoranze combattive. Nella scuola la scelta tra violenza, non violenza, indifferenza e apatia trova terreno fertile.

La constatazione della realtà all’ interno della scuola non nasconde la presenza di seri e gravi conflitti, tant’è vero che i giornali quasi quotidianamente riportano notizie di persecutorie violenze. Troppo spesso i dirigenti sono avulsi dal contesto sino a mimetizzare e a occultare, mentre la loro concentrazione dovrebbe essere sul «fatto», da analizzare, interpretare, e quando è necessario attivarsi, per comprenderne i componenti chiarendone i processi. Una risposta altresì positiva proviene dagli stessi insegnanti – educatori, i quali dopo il riscontro del conflitto, quale avvenimento dai risvolti sia positivi sia negativi, applicano l’introduzione in un quadro di reale democrazia nell’esplorazione dei meccanismi che innescano lo scontro; ossia la volontà politica efficace di cambio: la parola. Strumento importante di azione sociale e politica. Educazione alla nonviolenza nella scuola significa perciò anche educazione al «linguaggio», cognizione autonoma, elaborazione di cultura.  Insegnare a «parlare» a quelle categorie sociali che, anche nella scuola, si sentono emarginate, perché lontane dai canali normali di produzione della cultura e del potere (informazione). Ritorna, anche in questo contesto, il discorso, emerso più volte, dell’educazione politica, e della funzione liberatoria della cultura.

Un aspetto particolarmente urgente, nell’educazione alla nonviolenza, è determinato dall’apprendimento ed esercizio di una corretta metodologia della partecipazione e della conduzione degli organi collegiali e delle assemblee. Gruppi di lavoro e assemblee sono, per i giovani, il banco di prova più rilevante della capacità di dialogo, di ascolto, di tolleranza, di ricerca, di democraticità, di superamento del conformismo e della faziosità, di quegli atteggiamenti di un’educazione alla nonviolenza.

La sfida intellettuale contro la violenza sessuale deve passare attraverso i canoni dei principi umani. Il rispetto delle differenze non possono trascurare il rispetto dell’altro, il valore tra i due sessi uniti d’amore non possono coincidere con il sopruso e con l’annientamento della libertà dell’altro, ma è integralmente come un dono di libertà

Coloro che scelgono la strada della violenza, preferiscono “il dominio cieco” al rischio dell’esposizione, l’affermazione narcisistica del fallo all’incontro con l’alterità di un corpo, come quello femminile, fatto di segreti. La forma più alta d’amore è amare la libertà del proprio partner, amare la  differenza di cui la donna è il simbolo.  Se l’amore costituisce non una forma di rinascita, ma un salto nel vuoto è perché esso comporta la rinuncia a rendere l’altro una nostra proprietà.

Com’è considerata la donna nella fede cristiana?

Oggi, nel mondo cristiano, la donna vive una condizione di uguale dignità e responsabilità rispetto all’uomo, nei vari ruoli all’interno della società. È una protagonista attiva nella stessa, soprattutto nei Paesi occidentali, e le istituzioni ecclesiastiche ne supportano l’azione. Nonostante la tradizione giudaica nei confronti della donna, l’Antico Testamento non ha mai insegnato che la donna fosse spiritualmente inferiore all’uomo, anche se occupa un ruolo diverso e particolare.

L’uguaglianza spirituale – Le donne avevano gli stessi doveri degli uomini

Ubbidire alla legge. Dio fin dal principio enfatizza che sia gli uomini che le donne dovevano osservare i 10 comandamenti.

Insegnare la legge. Deuteronomio 6:6-7 indica che la responsabilità di inculcare ai bambini l’ubbidienza alla legge e amare Dio con tutto il cuore era sia dell’uomo sia della donna (Proverbi 6:20). Se ambedue, i genitori dovevano insegnare la legge ai figli, è implicito che ambedue erano istruiti in essa.

Partecipare alle feste religiose. In Esodo 12 leggiamo che sia uomini sia donne erano coinvolti nelle celebrazioni della Pasqua.

Gesù Cristo trattava le donne con compassione e rispetto, a prescindere dai loro peccati. E Gesù le disse: “Neppure io ti condanno; va e non peccar più” (Giovanni 8:10–11).

“Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché sono anch’esse eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite” (1 Pietro: 3-7).

LELLA  FRANCESE

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