Vivisezione e cosmetici: l’Europa verso lo stop definitivo?

Il termine “vivisezione“ indica l’atto di tagliare parti di animali, in genere per fini di ricerca, mentre sono ancora vivi, ed è ormai diventato sinonimo di esperimenti eseguiti sugli animali.
Una questione che suscita sentimenti molto forti nell’opinione pubblica, e se ancora la comunità scientifica si divide tra critici e sostenitori della legittimità e insostituibilità di questo tipo di test in ambito medico e farmacologico, sono molti, ormai, i paesi a considerare gli esperimenti sugli animali condotti a fini estetici e cosmetici come eticamente insostenibili. Anche l’Europa sta andando in questa direzione, nonostante blocchi, ritardi e ripensamenti dell’ultim’ora.
La data che tutti gli animalisti e antivivisezionisti aspettano è il 13 marzo 2013, in cui dovrebbe entrare in vigore in tutta la Comunità europea il divieto di vendita di cosmetici con ingredienti testati su animali, in qualunque parte del mondo siano stati eseguiti. Un traguardo a cui si è giunti per gradi, grazie alla direttiva europea 2003/15/CE, che ha portato alla proibizione dei test, (allora solo per i cosmetici finiti), e perfezionata poi nel 2009. Tuttavia, la fatidica data del 2013 era ed è tutt’ora a rischio in quanto Parlamento e Commissione Ue si sono riservati la facoltà di farla slittare addirittura al 2025 in caso, nel frattempo, non si fossero sviluppati test alternativi adeguati. Senza contare che la nuova legge, come già deciso nel 2009, potrebbe non abolire i vari test di tossicità generici (tra cui il “famigerato” LD50) per i nuovi prodotti chimici. “Sono i test più difficili da riprodurre con i metodi alternativi, e questo rappresenta una grande sfida per gli scienziati – spiega Florian Weighardt, esperto di biologia molecolare e cellulare, e di biotecnologie – . Soprattutto ora, per molte aziende investire nello sviluppo e convalida di questi test alternativi è diventato essenziale. Staremo a vedere”.
Il commissario Ue alla Salute, Tonio Borg, con una lettera inviata alla sezione inglese di PETA (People for the Ethical Treatmet of Animals) ha però assicurato che la deadline di marzo sarà rispettata, sottolineando come il fatto che non vi siano strumenti alternativi non debba rappresentare una giustificazione per un continuo rinvio. E a questo punto è sicuro che, se applicata, la legge comunitaria avrà un impatto enorme sull’industria cosmetica sia nell’UE che all’estero, dato che impone termini specifici non solo per la produzione, ma anche per la vendita dei vari prodotti. “I dirigenti delle aziende di cosmetici in tutto il mondo ora sanno che, se vogliono vendere ai 500 milioni di consumatori dell’Ue, dovranno rivedere seriamente le loro politiche” si legge in un comunicato di Stop vivisection, iniziativa nata dalla possibilità, da parte dei cittadini europei, di partecipare direttamente all’attività legislativa dell’Ue, previa raccolta di un milione di firme. La nuova normativa europea dovrebbe intervenire, a partire dall’11 luglio, anche sulle etichette dei prodotti di bellezza e cosmesi, e sugli spot pubblicitari ingannevoli, come già avviene nel campo alimentare e farmaceutico. Ma perché ancora si ricorre alla sperimentazione animale per i cosmetici? Succede che quando un’azienda sviluppa una nuova sostanza (o componente) per un prodotto di bellezza, deve accertare la sicurezza della sostanza in questione, e questi test sono prescritti proprio dal legislatore. Le stesse prescrizioni non valgono per tutti i paesi, ma chi intende commercializzare il proprio prodotto a livello internazionale deve effettuare (o far effettuare) questi test. Gli animali più utilizzati per questo tipo di esperimenti sono topi, ratti, criceti, cavie e conigli (85%); il restante 17% sono uccelli, pesci, animali domestici e scimmie. I test più usati sono il Draize test oculare, che consiste nell’instillare la sostanza negli occhi (in genere dei conigli albini) per poi esaminare, a distanza di vari giorni, i danni che essa provoca ai tessuti dell’occhio; il Draize test è anche cutaneo, ovvero si applica la sostanza in esame sulla pelle depilata ed abrasata degli animali, per poi valutare a distanza di tempo l’irritazione provocata; altro test molto comune è quello di cancerogenicità, in cui ai roditori viene fatta ingerire o inalare una sostanza per un periodo anche di diversi anni, in seguito gli animali vengono uccisi e sottoposti ad autopsia per stabilire la presenza di eventuali tumori. Altri esempi di test sono il già citato DL50, e il LD100: il primo serve a mostrare la quantità di una sostanza che serve ad uccidere il 50% degli animali testati; il secondo rileva il livello di dosaggio in cui tutti gli animali testati muoiono.
I sostenitori di queste pratiche dicono che gli esperimenti sugli animali sono di vitale importanza per il progresso della medicina, e che la vivisezione è l’unico modo accurato per testare le risposte di organismi viventi a determinate sostanze chimiche. Affermano anche che i ricercatori hanno cura di limitare le sofferenze inflitte agli animali. Per i detrattori di questo metodo, al contrario, i risultati medici ottenuti dagli esperimenti sugli animali non mostrerebbero con precisione gli effetti di una sostanza testata su esseri umani. E nel caso dei test cosmetici anche il minimo dubbio viene spazzato via: “Bisogna per forza sacrificare e far soffrire animali indifesi, al fine di testare nuovi trucchi e cremine di bellezza?” si chiedono in molti. Il problema risiede come sempre nella sete di profitto da parte delle grandi aziende che sono sempre alla ricerca di nuovi prodotti e nuove sostanze per produrli. Le quali, come abbiamo visto, per legge devono essere testate sugli animali. I test, inoltre, per le ditte diventano anche un’arma di difesa preziosa in tribunale, in caso di danni alla salute causati ai cittadini dai loro prodotti. Altre aziende, hanno invece già da tempo scelto una via più “etica”. Le si riconosce dalle etichette dei loro prodotti, che in genere riportano la frase “non testato sugli animali” o “cruelty-free”. Diciture, però, che non ancora propriamente ufficiali e tutelate dalla legge, e perciò facilmente falsificabili. In ogni caso, le ditte che hanno aderito agli standard internazionali e che li rispettano, esistono.
Tra i loro doveri: non devono testare i singoli ingredienti né commissionare a terzi questi test; per gli ingredienti già testati dai fornitori, devono dichiarare che i test sono avvenuti prima di un dato anno a loro scelta, e impegnarsi a non comprare ingredienti testati dopo quell’anno. Questo, per le aziende, significa non utilizzare più nessun ingrediente chimico nuovo (dato che tutti, per legge, devono essere testati su animali), e sono considerate cruelty-free semplicemente perché non incrementano la sperimentazione sugli animali. Che comunque è già un bel traguardo. E se la scadenza di marzo andrà in porto, coloro che si battono per l’abolizione della vivisezione avranno fatto un altro grande passo avanti.

Anna Toro (unimondo.org)

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