Jerome Lejeune, il genetista più odiato dagli abortisti

Jerome Lejeune. In Italia di questo grande personaggio si sa molto poco. Gli unici quattro  libri,  a  quanto  mi  consta,  li  ha  pubblicati  l’editore  Cantagalli  (l’ultimo  è  di  Clara  Lejenue,  sua  figlia:  “La vita è una sfida”,  Cantagalli  2008). Nato  nel  1926  a  Montrouge  sur  Seine,
Lejeune è colui che ha scoperto la prima anomalia genetica, la cosiddetta trisomia 21, cioè  l’anomalia  genetica  che  determina  la  sindrome di Down,  altrimenti  detta  mongolismo.  Sino  alla  sua  scoperta  si  credeva  che  il  mongolismo  fosse  una  tara  razziale,  oppure  che  fosse  determinato  da  genitori  alcolisti  o  sifilitici.  Lejeune  dimostrò  che  non  vi  era  nulla  di  disdicevole,  nei  genitori  di  quei  bambini,  nessuna  degenerazione  razziale,  nessuna  contagiosità,  in  quelle  creature  in  cui  era  avvenuta  la  triplicazione  di  un  cromosoma,  un  eccesso  di  informazione  genetica,  e  che  vengono  colpite  nella  facoltà  dell’intelligenza,  dell’astrazione, Lejeune  per  questa  scoperta,  e  per  altre  che  la  seguirono,  ottenne  innumerevoli  riconoscimenti  internazionali,  premi  ed  onorificenze.  Divenne  un  uomo  famoso  e  per  lui  fu  creata la prima cattedra di Genetica Fondamentale presso l’università di medicina di Parigi.  Ma  Lejeune  non  era  solo  un  ricercatore,  un  curioso,  uno  studioso  di  segmenti  di  Dna  che  nel  chiuso  del  suo  laboratorio  confonde  la  vita  col  codice  genetico  e  che  nell’entusiasmo  delle  sue  scoperte  crede di  avere  in  pugno  la  totalità  del  reale.  Il  suo  intento  fu  sempre  quello di guarire i suoi malati, così socievoli, così allegri, così fanciulleschi. «Se si riuscisse a scoprire come poter curare la trisomia 21»,  scrive  la  figlia  Clara,  «allora sì la strada sarebbe aperta per poter curare ogni altra malattia genetica». Scoprire la prima aberrazione  cromosomica  è,  nella  mente  di  Lejeune,  il  primo  passo  per  compiere  l’opera  del  medico,  che è, da sempre, quella di curare. Così anche la scoperta della diagnosi pre-natale, ad  opera desiderio  di  poter  individuare  quanto  prima  e  curare  più  precocemente  i  bambini.  Curare il prima possibile, in utero: è l’idea che entusiasma entrambi. Ma i due scienziati, che  “si conoscono e si stimano”, “impotenti, assisteranno allo snaturamento delle loro scoperte”.
Infatti  nel  1970  in  Francia  la  proposta  di  legge “Peyret”  apre  il  dibattito  sull’aborto,  sull’eliminazione dei bambini  che  sono  identificati  come  portatori  di  handicap  già  prima  della  nascita.  “In quel momento”,  ricorda  Clara,  “l’unico handicap riconosciuto prima della nascita è la trisomia!”.  Lejeune,  di  fronte  alla  proposta  Peyeret  e  al  dibattito  sull’aborto  in  generale,  dinanzi alle menzogne sulla natura del feto o sul numero degli aborti clandestini,  non  riesce  a  tacere:  sostiene  la  sacralità  della  vita,  palesa  il  suo  amore  per  i  suoi piccoli malati, dinanzi a tutti, ovunque,  arrivando ad affermare, all’Onu: “Ecco una istituzione per la salute che si trasforma in istituzione di morte”.
E’ coraggioso, ma non ingenuo: sa di aver intrapreso una strada pericolosa, di procurarsi,  in moglie:  “Oggi pomeriggio ho perduto il premio Nobel”.  Ed è proprio così.  Non  garba,  a  coloro  che  lo  insultano,  che  gli  sputano  in  faccia,  a  coloro  che  scrivono  sui  muri  “A morte Lejeune e i suoi mostriciattoli”,  che  qualcuno  rivendichi  con  carità  e  con  forza  la  verità,  e  lo  faccia  con  l’evidenza  della  scienza. Scrive  Lejeune:  “La genetica moderna si riassume in questo credo elementare: all’inizio è dato un messaggio, questo messaggio è nella vita, questo messaggio è la vita. Vera e propria perifrasi dell’inizio di un vecchio libro che ben conoscete, tale credo è quello del genetista più materialista possibile…”.  In  principio  è  il  Logos,  al  principio  della  vita  è  l’informazione  del  dna,  tutta già compresa nella prima cellula: “tutto questo lo sappiamo con una certezza assoluta che vince ogni dubbio perché se tale informazione non fosse già contenuta in essa, non potrebbe entrarvi mai più; nessuna informazione, infatti, entra in un uovo dopo che sia stato fecondato”.
Per  stroncare  Lejeune  le proveranno tutte:  l’odio,  le  persecuzioni,  le  molestie  anche  fisiche, i controlli fiscali… Gli verrà negato l’avanzamento di carriera per ben 17 anni, verrà  radiato  dai  congressi  scientifici,  gli  verranno  soppressi  i  crediti  per  la  ricerca  e  negati  i  finanziamenti  per  i  suoi  pionieristici  studi  sull’acido  folico  per  le  mamme  in  gravidanza,  che  tanti  bambini  hanno  contribuito  a  salvare  dalla  spina  bifida  e  da  altre  patologie.  Ma  per  fortuna  il  suo  nome  è  famoso  in  tutto  il  mondo,  e  può  continuare  a  lavorare  grazie  a  sussidi americani, inglesi, neozelandesi. Il suo pensiero però è sempre fisso sui suoi cari handicappati,  perché  conosce  l’insegnamento  di  Cristo:  “ogni cosa che avrete fatto ad uno di questi piccoli, la avrete fatta a me”. In passato, ricorda Lejeune, i malati di rabbia  venivano  spesso  uccisi  e  soffocati  tra  due  materassi.  Poi,  un  grande  scienziato,  Pasteur,  liberò l’umanità da quella malattia. Se si sopprimono coloro che sono affetti da sindrome di  Down,  si  bloccherà  la  ricerca  e  non si capirà mai come guarirli,  come  è  possibile  fare;  finché non riusciamo a guarirli, l’importante è stare loro vicini, guardarli come si guarda ad  un figlio di Dio, e non solamente ad un errore genetico, a materia biologica vivente! Lejeune,  nonostante  varie  difficoltà,  continua  a  girare  “il mondo, tiene conferenze e torna con riconoscimenti e borse di studio per i suoi collaboratori, finanziamenti per i programmi di ricerca”.  Si  batte  in  questi  anni  per  evitare il disastro nucleare,  viene  inviato  in  Russia  a  parlare  con  Breznev  sui  rischi  di  un  eventuale  uso  dell’atomica,  e  confuta il darwinismo materialista e ideologico  di  Jacques  Monod,  che  riduce  l’uomo  ad  un  figlio  del  caso.  In  nome  dei  suoi  studi  di  genetica  Lejeune  sostiene  la  credibilità  di  Adamo  ed  Eva  e,  anticipando  di  dieci  anni  le  scoperte  di  Gould  ed  Eldrege,  contrasta  il  gradualismo  step by step di Darwin, sostenendo che l’evoluzione ha dovuto per forza fare dei salti. In  ogni  cosa,  come  padre  di  cinque  figli,  come  scienziato,  come  polemista contro l’aborto e il darwinismo materialista,  ciò  che  più  colpiva,  in  lui,  come  rammenta  la  figlia,  era  “l’assenza di paura. Non aveva paura. Cosa si può fare contro un uomo che non desidera niente per se stesso?”.  Timete Dominum et nihil aliud,  diceva,  perché  solo  così  si  è  veramente liberi,  solo  così  si  è  certi  di  rinunciare  a  se  stessi  e  al  proprio  egoismo,  per  perseguire  con  limpidezza  la  via  della  Verità  e  del  Bene.  Il  suo  motto  poteva  così  essere  quello  che  D’Annunzio,  aveva  ripreso  e  inciso  sul  muro  del  suo  Vittoriale:  “Ho quello che ho donato”.  Per  questo,  alla  sua  morte,  un  ragazzo  down,  Bruno,  “ si impadronisce del microfono durante le esequie di Jerome Lejeune a Notre Dame di Parigi. Senza timore, in una cattedrale affollata, improvvisa un panegirico che termina con queste parole: ‘Grazie, mio caro professor Lejeune di quello che hai fatto per mio padre e per mia madre. Grazie a te, sono fiero di me’. Nessun altro oltre a Bruno avrebbe potuto dire parole simili. Più tardi veniamo a sapere che egli è il bambino il cui esame dei cromosomi, trentacinque anni prima, ha permesso a Lejeune di scoprire la trisomia 21” ( Jean-Marie Le Méné, “Il professor Lejeune, fondatore della genetica moderna”, Cantagalli, Siena, 2008, p. 178) Tutta  la  battaglia  di  Lejeune  è  dunque  quella  di  un  credente e di uno scienziato  che  in  un’epoca  in  cui  si  fa  fatica  a  riconoscere  la  dignità  dell’uomo,  il  suo  essere  ad  immagine  e  somiglianza di Dio, difende questo principio, con la sua umanità e la sua scienza, e urla al  mondo  che  persino  gli  handicappati  sono  uomini! La  sua,  scrive  Jean  Marie  Le  Méné,  è  la  stessa battaglia degli abolizionisti americani che di fronte alla schiavitù affermavano: a man is a man. Un uomo è un uomo. Negli stessi anni in cui Francis Crick dichiara che “nessun bambino dovrebbe essere definito come essere umano prima di essere stato sottoposto a un test che ne determini il corredo genetico. Se non supera il test, si è giocato il diritto alla vita”, Lejeune ribadisce: Ogni uomo è un uomo.
E’ un feto, lo abortiamo? E’ un uomo. E’ malato? E’ un uomo. Fabbrichiamo un embrione in  vitro?  E’  un  uomo.  Lo  congeliamo?  E’  un  uomo.  Lo  vivisezioniamo  sino  al  quattordicesimo  giorno?  E’  un  uomo.  Lo  produciamo  in  un  utero  artificiale,  o  in  affitto?  E’  un  uomo. Lo  cloniamo? E’ un uomo.  Lo priviamo di suo padre e di sua madre, con l’adozione a persone  dello stesso sesso? E’ un uomo (Jean-Marie Le Méné, “Il professor Lejeune, fondatore della genetica moderna”,

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