Fati, 16 anni, liberata dall’esercito, racconta: «Era sempre la stessa scena. Loro chiedevano: chi vuole diventare attentatore suicida? Le ragazze cominciavano a urlare: “Io, io, io”»
Diventare kamikaze è un sogno per le tante ragazze e bambine rapite da Boko Haram in Nigeria. Sembra un paradosso, ma è quello che hanno raccontato molte superstiti, liberate dalle mani dei terroristi islamici da un attacco coordinato nel nord del paese dell’esercito nigeriano e camerunense.
MATRIMONI FORZATI. Fati, 16 anni, è una di loro. È stata rapita nel 2014, all’età di 14 anni, ed è stata data in sposa a un jihadista: «Noi dicevamo: “No, siamo troppo piccole: non vogliamo sposarci”. Ma loro ci obbligavano», racconta alla Cnn dal campo profughi di Minawao in Camerun. Dopo essere stata maritata ad un jihadista, è stata stuprata una prima volta ma le violenze sono proseguite per quasi due anni. Dopo quella prima volta, continua, suo marito le ha fatto un regalo di matrimonio: un vestito viola e marrone con un velo coordinato.
«NIENTE DA MANGIARE». Fati è stata portata nella roccaforte di Boko Haram, la foresta Sambisa, e qui «c’erano così tante ragazze che non riuscivo a contarle tutte». Imprigionate e abusate, venivano anche picchiate se non obbedivano agli ordini. La vita era resa difficile anche dalla scarsità di cibo: «Non avevamo niente. Potevamo contare le costole dei bambini una a una tanto sporgevano». Tra le nuove spose, infatti, ce n’erano anche alcune «molto più giovani di me».
«CHI VUOL ESSERE KAMIKAZE?». È per scappare da tutto questo che le donne, racconta, facevano a gara per diventare kamikaze. «Era sempre la stessa scena. Loro venivano da noi e chiedevano: chi vuole diventare attentatore suicida? Le ragazze cominciavano a urlare: “Io, io, io”. Facevano a gare per diventare kamikaze». La motivazione è semplice: «Non eravamo indottrinate. Volevamo solo scappare da Boko Haram. Se ci avessero dato una cintura esplosiva, magari avremmo incontrato dei soldati nel tragitto e avremmo potuto avvisarli e salvarci. Avremmo potuto fuggire».
Secondo un nuovo rapporto dell’Unicef, se nel 2014 solo quattro bambini sono stati usati come kamikaze da Boko Haram, nel 2015 il numero è salito a 44. In rapporto agli attentati, un attacco su cinque viene portati a termine da bambini. Le femmine rappresentano il 75 per cento dei giovani utilizzati dai terroristi.
DONNE DI SAMBISA. Anche per questo, una volta che le ragazze vengono liberate e portate in un campo profughi, come quello di Minawao, vengono discriminate e definite “mogli di Boko Haram”, “Donne di Sambisa”, “Sangue di Boko Haram” e anche “Annoba”, che significa “peste”. Più di 2.000 donne sono state rapite da Boko Haram a partire dal 2012. Quelle che si salvano e tornano sono accusate di essere reclutatori di Boko Haram e di voler radicalizzare la gente. C’è anche una buona dose di superstizione, sempre aumentata dalla paura degli attacchi, nel ripudio di queste madri e dei loro figli: «Tanti credono anche che i bambini concepiti come il risultato di una violenza sessuale o di relazioni sessuali con i membri di Boko Haram diventeranno la nuova generazione di jihadisti, dal momento che hanno ereditato le caratteristiche violente dei loro padri biologici».
Fto Ansa
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