Testo: 1^ Giov. 4:7-21 | Amare il proprio fratello è il risultato dell’amore per Dio.
Care sorelle e cari fratelli, ci troviamo di fronte a un testo che riassume ciò che è stato detto in precedenza, ossia “l’annuncio che Dio è luce”, che significa rendere il cristiano folgorante nella espressione dell’amore cristiano. Conoscere Dio significa amare, e amare significa essere nato da Dio. Ci troviamo in un topos esistenziale inequivocabile: conoscere Dio significa amare. Il cristiano disamorato non conosce realmente Dio, forse, conosce la dottrina della salvezza attraverso una normale e naturale esperienza intellettuale, ma non ha sperimentato l’amore di Dio. Egli rimane sospeso tra l’assimilazione catechetica della cosiddetta “Sana Dottrina” e l’applicazione di essa nella quotidianità della vita attraverso l’esercizio dell’amore. Giovanni in tutta la sua lettera esalta l’amore cristiano come dono fattivo e non contemplativo. Il v.7 è una ennesima espressione solenne del comandamento divino: “amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio”. Nel nostro testo ricorre per un paio di volte: la prima volta come assioma (v.7), la seconda volta come effetto di una causa primigenia: “se Dio ci amato in questo modo, anche noi ci dobbiamo amare gli uni gli altri” (v.11). Siamo di fronte a ciò che produce la salvezza, che non è solo ed esclusivamente, passare dalla morte alla vita, oppure conseguire semplicemente la vita eterna senza alcun mutamento esistenziale, ma è soprattutto un essere in divenire, in cui l’amore cristiano è l’esperienza centrale e fondamentale: “Chi ama Dio e odia suo fratello è un omicida”.
Il paradigma teologico della salvezza è quanto segue: Dio ci ha rivelato se stesso come amore sacrificale; i cristiani sono chiamati ad amarsi gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e perché Dio è Amore (v.8). l’origine dell’amore è nell’essenza di Dio, che non è frutto di una riflessione filosofica astratta, ma si concretizza storicamente nell’irrompere di Dio nella storia attraverso il mistero della Sua incarnazione. Ciò significa che il cristiano non è assolutamente in grado di amare dell’amore di Dio nella sua assoluta naturalità, ma, avendo Dio amato per primo in Cristo, il Cristiano afferrato, avviluppato, attanagliato dalla forza creatrice e trasformatrice dello Spirito Santo è reso capace di opere buone: “ Da questo conosciamo che dimoriamo in Lui, ed Egli in noi, perché ci ha dato del Suo Spirito (v.13). l’amore fraterno tra cristiani come amore che si dona gratuitamente ha il suo fondamento teologico nell’espressione dell’amore di Dio che ha dato Gesù Cristo come propiziazione dei peccati dell’uomo: il cristiano si dona a suo fratello, non per riscattarlo, ma come segno visibile di essere stato riscattato dall’amore divino, che è rivelazione storica e concreta attraverso la venuta di Gesù Cristo: come l’amore di Dio in Cristo cerca il bene e il benessere dell’uomo che crede, così anche il cristiano si prodiga per il bene e il benessere di suo fratello al costo di se stesso.
L’affermazione-confessione del cristiano che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, ha in sé un vigoroso e corpulento effetto etico-spirituale, ossia il Cristiano è il tempio di Dio, il quale dimora in lui. Ciò significa che il cristiano è testimone dell’amore di Dio attraverso azioni di carità disinteressate. L’esperienza temporale del cristiano dell’amore divino è prefigurazione di quello che essa sarà nel compimento finale: il cristiano sarà giudicato da Dio dalla sua esperienza terrena dell’amore che Dio ha elargito in Cristo. Egli bandisce la paura della punizione, se l’esercizio dell’amore cristiano è una nota costante del suo essere cristiano: chi afferma di amare Dio e odia suo fratello dichiara il falso, perché il campo d’azione in cui il cristiano rende visivo l’amore per il Signore che non ha visto, è la chiesa, sono i fratelli, che ha visto.
Siamo di fronte ad una sostanziale verifica della confessione del cristiano nel dichiarare solennemente che Gesù è il Cristo, Colui che è il personale Salvatore e Signore. Ciò implica il libero esercizio dell’amore divino. Se le Chiese appaiono aride, anemiche, anguste, la causa va ricercata nella retorica della fede chiacchierata, in cui prevale una condotta cinicamente ostile verso il proprio fratello e, in generale, verso il proprio compagno di umanità.
Echeggia il grido assordante e doloroso dell’Apostolo: chi odia suo fratello è un Omicida.
Paolo Brancè
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