Amish, modello di antimodernità e di democrazia partecipativa!

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Il comunitarismo degli Amish è un sistema di democrazia partecipativa dove i rapporti umani sono densi di significato.

L’attuale crisi della società globalizzata, che molti ritengono essere non solo economica, ma anche politica, sociale e persino culturale, ha fatto sorgere una serie di analisi critiche del «sistema» e proposte di modelli alternativi. Dalla suggestione della società della decrescita ai tentativi di prefigurare esperimenti basati sul comunitarismo, le prospettive che si contrappongono all’egemonia della globalizzazione liberal-capitalista sono varie ed eterogenee. Esse sono tuttavia accomunate dall’obiettivo di rimediare ai danni creati dal cosiddetto «sistema denaro» nella «società liquida», evidenziando la necessità di uscire dalla logica mercantile dell’economia finanziarizzata. Alcuni studiosi sostengono che le cause della crisi che ha colpito le economie «sviluppate» siano da rintracciarsi nelle stesse categorie fondanti la modernità. Hanno dunque lanciato un «manifesto» dell’antimodernità, per andare oltre il dominio del «finanzcapitalismo» che avrebbe generato una «dittatura del capitalismo», creando ciò che è stato descritto come «l’orrore economico».

Decrescita, antimodernità, comunitarismo sono concetti che sebbene definiscano aspetti distinti, condividono un orizzonte di opposizione ferrea alla società consumistica che si basa su logiche quasi esclusivamente tese a trasformare l’essere umano, e le sue molteplici propensioni, tra le quali vi è quella religiosa, in un limitato homo economicus. Al riguardo appare utile e affascinante lo studio di comunità che riescono a vivere e prosperare oltre questa mera dimensione economica.

Il contributo del ramo dell’antropologia che si occupa della critica al contemporaneo modello sociale è duplice. Da un lato, lo studio accademico, relativo alla decostruzione di concetti che sono proposti come non complessi e autoevidenti: la crescita crea benessere. D’altro lato il lavoro «di campo», dove l’osservazione etnografica offre esempi di comunità con pratiche e credenze religiose, politiche ed economiche differenti rispetto a quelle imposte dalla cultura egemonica. Negli anni settanta Marshall Sahlins propose la teoria che la qualità della vita dei popoli «primitivi» fosse migliore rispetto a quella dei «moderni», divenendo un antesignano del movimento della decrescita. Nell’esame dei vari modelli culturali è però importante considerare in quale modo approcciarvisi.

L’antropologo Clifford Geertz sviluppò la definizione di cultura come «complesso di modelli», distinguendo tra «modelli di» e «modelli per». Questi ultimi sono sinteticamente definiti come modelli-guida, esempi da seguire tout court, mentre i «modelli di» sono insiemi coerenti, provvisti di significato, il cui esame è utile per trarre stimoli e spunti di riflessione. In questa prospettiva è di particolare interesse l’analisi degli Amish che, pur vivendo nella contemporaneità, rifiutano gli elementi cardine della modernità: idea di progresso, pensiero positivista, industrialismo, concetto di stato-nazione.

Nonostante il termine modernità abbia confini nebulosi, è possibile considerare la cultura Amish come un modello dell’antimodernità. Gli Amish sono una chiesa cristiana anabattista, la loro visione è quindi prettamente religiosa. La «diversità» degli Amish non si limita all’ostracismo nei confronti della tecnologia, da cui deriva il divieto di avere automobili, corrente elettrica, abiti alla moda, televisioni, e di conseguire un’istruzione superiore. Sono soprattutto le categorie politico-filosofiche del pensiero moderno a essere estranee alla Weltanschauung Amish, dove i riferimenti a sviluppo, crescita e progresso, che formano le politiche della modernità, sono sostituite da rispetto per la tradizione, enfasi sul lento scorrere del tempo e fiducia nella provvidenza divina che induce a sopportare le ingiustizie, focalizzandosi sul lavoro e sul sacrificio quotidiani.

Gli Amish non possono fungere da «modello per» rifondare il sistema basato sulle logiche astratte della crescita e del mercato, perché, ammesso e non concesso che ciò sia auspicabile, sarebbe impraticabile riportare le lancette del tempo indietro di secoli, rinunciando alle innovazioni che hanno modificato in profondità la nostra esistenza. Dal divieto di suonare strumenti musicali alla proibizione di studiare oltre il livello base, dalla regola di poter viaggiare su un’automobile ma non di possederla alle limitazioni tecnologiche, le norme Amish appaiono troppo influenzate da una sorta di fondamentalismo tradizionalista religioso per trovare spazio in una società aperta e pluralista. Le differenze maturate nei secoli hanno scavato un solco tra loro e la nostra (post) modernità globalizzata. Non si tratta di augurarsi un anacronistico «ritorno alle carrozze», prospettiva affascinante se vogliamo, ma improponibile; si tratta invece di considerare anche questa eventualità, di aprire la mente per riflettere su alternative che sembrano inconcepibili.

A esempio, nella nostra società l’automobile è contemporaneamente il principale mezzo di trasporto, status symbol e prodotto cardine nelle maggiori economie. Pensare di privarsene è visto come un’eresia, nonostante i danni evidenti che questa invenzione della modernità ha creato in termini di vittime per incidenti stradali, inquinamento, traffico. Discorso simile sulle esternalità negative è riproponibile per la televisione e gli altri media. L’analisi del modello Amish, nell’accezione di «modello di», consente di decostruire questi «miti» del progresso, valutati come intrinsecamente positivi.

Lo stato-nazione ha rappresentato il primo esempio di «comunità immaginata», vale a dire un gruppo nel quale si condivide un sentimento di appartenenza con milioni di sconosciuti che provano le stesse passioni, gioie e preoccupazioni. La globalizzazione ha portato questo fenomeno a livelli planetari. Sappiamo in tempo reale che cosa accade dall’altro capo del mondo, mentre l’intensità dei nostri rapporti umani si affievolisce sempre più. Così non è tra gli Amish, dove l’esistenza si svolge all’interno di piccoli distretti ed è fatta di contiguità affettive. Questa vicinanza fisica e «spirituale» si nutre dell’ascolto e del silenzio, aspetti centrali dell’antimodernità Amish e quasi dimenticati nel fragore scomposto di una società moderna caotica e ossessionata da un vuoto presenzialismo.

La nostra quotidianità è costellata da riferimenti incomprensibili, pronunciati da personaggi semisconosciuti, che evocano forze che decidono le sorti di miliardi di persone: mercato, operatori finanziari, società di rating, tasso di cambio, spread. Persino la parola «Europa» viene comunemente declinata nella sua incarnazione burocratico-istituzionale. I mercati assumono i sinistri contorni del Moloch, il mostro biblico che esige sacrifici umani: i mercati vogliono, esigono, puniscono. La distanza tra la società individualista, consumista di (e del) mercato e il sistema di democrazia partecipativa degli Amish, dove i rapporti umani sono generalmente densi di significato, è abissale.

Non è tanto nella forza di sopportare le privazioni che gli Amish sono un esempio virtuoso, quanto nella capacità di ragionare nel lungo periodo. Per gli uomini del XXI secolo ogni innovazione è vista come un miglioramento della qualità della vita; per gli Amish la questione è ben più complessa. Essi cercano di comprendere quali siano le future potenziali esternalità negative di ogni novità. Per questo motivo possono passare molti anni prima che sia presa una decisione «definitiva» in merito a ogni aspetto della modernità che potrebbe entrare nel loro ambiente. A esempio, quando il trattore si diffuse nelle campagne americane, gli Amish consentirono il suo utilizzo. Si resero però conto che il nuovo macchinario svolgeva il lavoro di molti uomini e, di conseguenza, applicando un ragionamento diametralmente opposto rispetto a quello imperante nel nostro sistema produttivistico liberalcapitalista, occorreva vietarlo, perché nel lungo periodo avrebbe causato disoccupazione. Oggi l’economia Amish, che rimane sostanzialmente agraria, può vantare un tasso di occupazione dei suoi membri vicino al 100%.

Per molti Amish il più importante principio religioso da trasmettere ai figli è «l’etica del duro lavoro». Infatti, la teologia anabattista è intimamente «esistenziale», ostile nei confronti dei dogmatismi, delle disquisizioni esegetiche e orientata verso un cristianesimo pragmatico: se Dio ordinò ad Adamo di ottenere il cibo con il sudore, un cristiano deve lavorare sodo per far crescere i frutti del creato. Il modello Amish è fecondo di suggestioni anche in quest’ambito, perché esce dall’«equivoco» del lavoro inteso come una realtà a se stante. Il lavoro è considerato, religiosamente, prosecuzione dell’opera divina e, laicamente, realizzazione dell’essere umano. Infatti, coltivare i campi consente giorno per giorno di vedere il miracolo del creato, lavorando in una dimensione familiare e prettamente comunitarista.

La critica antropologica aiuta a decostruire alcune idee reificate che hanno perso il loro significato reale trasformandosi in totem inviolabili. Abbandonare concetti come crescita e sviluppo eterni, che sono sempre orientati da aleatorie stime su un futuro che nessuno può conoscere, è il primo passo per creare un modello economico più umano. La cifra della cultura Amish si trova nell’idea di limite. Tramite l’enfasi sulla tradizione si focalizza concretamente sulla risoluzione dei problemi quotidiani. In questi anni di crisi le aziende Amish hanno avuto un successo straordinario: nella mentalità Amish i problemi non cessano aspettando un’ipotetica ripresa, ma lavorando più intensamente e riducendo i consumi. L’approccio degli Amish nei confronti del tempo, del lavoro, della tecnologia, della tradizione, rappresenta un prezioso stimolo per i «moderni». La sua analisi ci consente di nutrire la consapevolezza che, in una riflessione libera e scevra da preconcetti, nessuna opzione sia da escludere a priori: nel XXI secolo, 280. 000 esseri umani sono felicemente rimasti alla «carrozza». Gli Amish ci insegnano che, al di là degli slogan, un altro mondo è realmente possibile.

Tratto da riforma.it

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