CENTRAFRICA: “NOI DIMENTICATI ALLA MERCÉ DEI RIBELLI”, UNA VOCE DA BERBERATI

2013-05-15-06-44-49-1495691666“Anche qui la gente vive nella paura e sta morendo di fame dopo l’arrivo in città dei combattenti della Seleka che dettano legge per le strade. A due mesi dal colpo di stato la situazione sta peggiorando sempre di più, ma delle violenze e saccheggi commessi a Berberati nessuno parla”: lo dicono le fonti religiose e umanitarie contattate nella seconda città del Centrafrica, 600 chilometri a sud della capitale Bangui, nodo importante per il commercio con il vicino Camerun. Per motivi di sicurezza gli interlocutori delle organizzazioni umanitarie preferiscono rimanere anonimi ma vogliono comunicare a tutti i costi la “disperazione” degli abitanti della città sud-occidentale, polo della produzione di diamanti e legno.

“Il nostro dramma è cominciato quel 24 marzo, il giorno del colpo di stato, quando l’esercito regolare (Faca) è scappato da Bangui per cercare di rifugiarsi in Camerun. Alcuni soldati sono riusciti a varcare il confine ma altri, inseguiti dai ribelli, si sono nascosti a Berberati” prosegue la fonte locale, raccontando che “la popolazione è stata presa tra l’includine e il martello”. I miliziani della coalizione Seleka – la ribellione del nord che ha cominciato la sua offensiva contro il potere di François Bozizé lo scorso dicembre – hanno commesso saccheggi e violenze nelle operazioni di ricerca di soldati in fuga mentre per le strade della città ci sono stati combattimenti tra le due parti. Secondo alcuni bilanci ufficiali a Berberati almeno otto persone sono rimaste uccise e una ventina ferite.

“Oggi viviamo ancora nell’insicurezza: i ribelli non esitano ad aprire il fuoco se qualcosa non gli sta bene. Qualche sera fa un proiettile vagante ha trafitto il tetto di paglia di un’abitazione, uccidendo nel sonno una bambina di quattro anni” dicono ancora i testimoni locali, aggiungendo che “le esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno. Poi di notte i miliziani entrano con la forza nelle abitazioni”. Dall’arrivo al potere dell’ex capo militare Michel Djotodia, eletto presidente con un voto scontato del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), le esazioni commesse dai combattenti della Seleka sono state più volte denunciate a Bangui e nelle principali località del centro e del nord del paese, ma della situazione che prevale a sud non si hanno notizie, o quasi. “Un’altra cosa grave è stata la complicità delle autorità locali, sindaco e prefetto in testa, che hanno stretto la mano alla Seleka. Ci è stato detto che se volevamo impedire che i ribelli bruciassero le nostre case dovevamo dare dei soldi, e così è stata organizzata una raccolta fondi” proseguono le fonti locali.

A Berberati le attività economiche e commerciali sono quasi del tutto ferme e i viveri scarseggiano. “Le banche sono chiuse da quasi due mesi, quindi non abbiamo contanti per poter fare i nostri acquisti, anche se a dire il vero non si trova quasi nulla nei negozi. La gente va nel bosco per raccogliere legumi e foglie di manioca che poi vengono cotte” raccontano ancora dalla città sud-occidentale dove i bambini non vanno più a scuola “anche perché i genitori temono che vengano rapiti dai ribelli”. E’ anche a causa dell’insicurezza diffusa che le poche organizzazioni umanitarie attive sul posto hanno sospeso le proprie attività. “Ci sentiamo sempre più soli e isolati. La storia si sta ripetendo, come quando nel 2003 ci fu il colpo di stato che portò al potere Bozizé. Non c’è più speranza di fronte a un tale passo indietro per il nostro paese” concludono le fonti locali della MISNA, confermando che anche i ribelli presenti a Berberati sono quasi tutti ciadiani o sudanesi. Nelle ultime settimane la città ha anche accolto decine di giovani scappati da Bangui: per ottenere mezzi di sostentamento gli uomini della Seleka utilizzerebbero la pratica del rapimento, chiedendo alle famiglie cospicui riscatti.

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